Ravenna, 2 giugno 2024 – Era morto il giorno dopo il suo 67enne compleanno. Ventuno giugno 2023: quasi un anno fa. E se a distanza di tanti mesi la magistratura, su richiesta dell’avvocato del figlio, è improntata a riesumare il cadavere, è perché manca ancora qualcosa per ricostruire la morte di Gheorghe Plaiasu, 67enne di origine romena che proprio a Ravenna aveva trascorso i suoi ultimi mesi di vita assieme ai suoi cari. Un sospettato per la verità c’è già: si tratta del picc - sigla che sta per ’catetere centrale a inserzione periferica’ - che era stato applicato all’uomo durante le cure per la patologia di cui soffriva. Ecco: era lì che si era annidata l’infezione che lo avrebbe portato alla morte. Almeno secondo il figlio 42enne Cristian. Non esattamente l’ultimo arrivato: oggi fa il medico di base con tre ambulatori in centro; e per diversi anni ha lavorato in vari ospedali del mondo: Romania (cardiologia), Inghilterra (pronto soccorso) e Ravenna-Domus (medicina interna).
"Mio padre, che aveva fatto il gruista, era in pensione: in Romania lo conoscevano tutti perché era un allenatore di boxe, aveva un bel pugno". Il figlio giusto a febbraio 2023 aveva deciso di andarlo a prendere per portarlo a Ravenna: "Soffriva di un tumore al cavo orale diagnosticato a gennaio dell’anno scorso: e così mi ero confrontato con colleghi dell’oncologia di che mi dissero che avrei fatto bene a portarlo". Erano partite le analisi e il paziente, complice qualche intoppo che aveva allungato le tempistiche, nell’attesa "piano piano smise di parlare e di mangiare". Ma dopo la visita nutrizionistica, le cose sembravano girare per il meglio: "Partì la radioterapia: e lui iniziò a parlare, a camminare, a mangiare. A distanza di due mesi la primaria della radioterapia mi fece vedere la massa tumorale: era in netta riduzione. Ho persino i filmati che dimostrano il miglioramento".
I problemi si materializzano con le alluvioni di maggio: "Il 16 di quel mese, causa maltempo, dall’hospice dove si trovava, viene trasferito all’ospedale in medicina". E il primo giorno "si manifesta una febbricola. Il secondo giorno diventa febbre molto alta". Eccoci arrivati al picc: "Lui lo portava per la nutrizione e la terapia. Come figlio e collega, in reparto domandai se la febbre potesse venire proprio dal picc". Ma, a suo avviso, la risposta fu tutt’alto che diplomatica. E allora "chiesero una radiografia del torace convinti si trattasse di una polmonite da batterio: negativo. Anche la risonanza dell’encefalo risultò negativa". Intanto vedeva il padre peggiorare: la febbre continuava. "Mi contattò il primario di reparto e mi disse di avere aggiunto un nuovo antibiotico". La svolta porta la data del 24 maggio: "Dal tampone del picc emerse che l’infezione era lì: Candida tropicalis e Staphylococcus capitis", ovvero un lievito e un batterio. Lui ancora non sapeva nulla del risultato finché "mi dicono che lo vogliono trasferire dalla medicina all’oncologia. Era il 28 maggio, una domenica: sulla base di quanto mi aveva detto la radioterapista, io pensavo stesse migliorando. E invece l’oncologo di turno mi disse che stava morendo, che era in sepsi", risposta disregolata dell’organismo a un’infezione.
"Eppure in tutto questo periodo, continuavano a utilizzare il picc: anche dopo avere ricevuto la risposta. Così fino al 14 giugno, come indicato sul diario clinico". In quanto alla terapia antifungina, "era stata impostata solo il 28: ma lui ormai era in sepsi da candida... in questi casi non si salva nemmeno uno sano, figuriamoci uno nelle sue condizioni". L’ultima sera "dormii con lui dopo avere festeggiato il suo compleanno. Poi andai al lavoro in ambulatorio e all’una mi chiamò mia madre per dirmi che era morto. Il 25 maggio celebrammo il funerale nel cimitero ortodosso. Il 27 ho fatto la denuncia", di conseguenza alimentando l’apertura di un fascicolo contro ignoti per omicidio colposo. "Chiesi il sequestro della cartella clinica: colleghi mi dissero che aveva girato e che era stata modificata. E le posso assicurare di averne le prove".
La procura aveva poi affidato al medico legale Matteo Tudini una consulenza dalla quale era emerso in estrema sintesi una gestione ritenuta errata della sepsi da candida ma in cui si caldeggiava l’autopsia per avere conferme sulle cause del decesso. L’ultimo atto, per ora, della vicenda, è arrivato con la richiesta dell’avvocato Aldo Guerrini per un incidente probatorio: la riesumazione insomma. Con conseguente richiesta della procura al gip datata 24 maggio. "In tutto questo, il picc è sparito: finito tra i rifiuti ospedalieri. Il suo lavaggio, da protocollo, era fissato ogni 40 giorni: pensi che il venerdì seppellii mio padre e il lunedì successivo mi chiamarono per farlo...".