Morto dopo intervento al cuore: dodici indagati a Ravenna

Anziano fu sottoposto a un’operazione chiururgica invasiva, i medici dell’equipe del Cecilia Hospital accusati di omicidio colposo

Si è aperta ieri l’udienza preliminare in Tribunale per tutti gli imputati

Si è aperta ieri l’udienza preliminare in Tribunale per tutti gli imputati

Ravenna, 23 aprile 2021-  A ottantuno anni sarebbe stato troppo anziano per poter sopportare l’invasività di quell’intervento chirurgico, che a distanza di mesi effettivamente finì per costargli la vita. Tanto che una dozzina di medici dell’unità di cardiochirurgia dell’ospedale privato Villa Maria Cecilia di Cotignola ora sono indagati per omicidio colposo. Ieri è iniziata l’udienza preliminare, rinviata a giugno per valutare l’eventuale richiesta di giudizio abbreviato per alcuni imputati, difesi in gran parte dagli avvocati Giovanni Scudellari e Lorenzo Marangoni, uno dall’avvocato Antonio Petroncini. Si sono costituiti parte civile gli eredi della vittima attraverso i legali Alessandro Petrillo, Monica Rossi e Jakub Nowacki.

Secondo l’accusa, formulata dal Pm Marilù Gattelli, i dodici imputati avrebbero cagionato la morte di quel paziente classe 1934 "in cooperazione colposa tra loro e per colpa consistita in grave imprudenza, negligenza e imperizia". In buona sostanza, secondo l’accusa, nonostante vi fossero diversi fattori di rischio, in considerazione dell’età avanzata e dei problemi cardiaci cui l’uomo era affetto, lo stesso il 21 settembre 2015 fu sottoposto a un rischioso intervento al cuore, durato ben otto ore, di sostituzione chirurgica della valvola aortica.

Il paziente soffriva di tre patologie chirurgiche e per la Procura tutte avrebbero richiesto un intervento a se stante. Invece l’equipe decise di procedere con un intervento ritenuto invasivo, "con conseguente possibilità di incorrere in numerose complicanze compresa quella infettiva, come in effetti avvenne", mentre lo stesso "per i fattori di rischio indicati avrebbe dovuto essere escluso dalla chirurgia". E comunque in caso di intervento si sarebbe dovuto decidere "per uno meno invasivo, facendo i bypass in vena safena".Sempre secondo l’accusa non fu fornito, da parte del gruppo medico che all’epoca lavorava al Cecilia Hospital, un adeguato consenso informativo al paziente e ai suoi parenti in ordine alla necessità di procedere o meno a quel determinato intervento e con quelle modalità".

A seguito del quale si determinava una "contaminazione perioperatoria della ferita chirurgica" e anche a seguito della sopravvenuta infezione gli stessi medici non sarebbero intervenuti tempestivamente nell’arco delle due settimane passate, e una volta intervenuti non avrebbero indicato le adeguate terapie antibiotiche. I fatti contestati vanno appunto dal giorno dell’operazione al 4 febbraio 2016, più di quattro mesi dopo, quando l’anziano morì.

l. p.