La ’Ndrangheta penetrò a Cervia: una pasticceria la testa di ponte

In carcere un 51enne calabrese è ritenuto l’organizzatore del sodalizio, obbligo di dimora per moglie e figlio. Le famiglie Patamia e Serra con minacce avevano spinto un cervese a cedere l’attività

Cervia (Ravenna), 27 ottobre 2022 - La ’ndrangheta calabrese aveva messo radici in Romagna, soprattutto a Cervia. È quanto emerge dall’inchiesta della Dda di Bologna – una coda dell’inchiesta Aemilia – che conta 34 indagati accusati, a varo titolo di associazione per delinquere, autoriciclaggio, bancarotta fraudolenta, usura, lesione, minacce ed estorsione. Di questi, 23 sono destinatari di misure cautelare, tra i quali figurano tre residenti a Cervia originari di Vibo Valentia: in carcere è finito Saverio Serra, 51 anni, dagli investigatori ritenuto affiliato alla cosa ’ndranghetista Mancuso di Limbadi almeno col grado di ’camorrista’.

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Complessivamente l’operazione ha portato al sequestro di beni per 30 milioni di euro
Complessivamente l’operazione ha portato al sequestro di beni per 30 milioni di euro

Obbligo di dimora nel comune di residenza, quindi Cervia, per la moglie Annunziata Gramendola, 47 anni (figlia di un prestanome per il clan Mancuso), e per il figlio 21enne Leoluca Serra. Tutti gli indagati, secondo la indagini del Gico – Gruppo di investigazione sulla criminalità organizzata – spolpavano società tramite sistematiche evasioni fiscali. Tutto ruota attorno a una serie di investimenti illeciti, molti dei quali avvenuti in piena pandemia, su aziende in difficoltà operanti nei settori della panificazione, della ristorazione e dell’industria dolciaria anche nei comuni di Imola, Cesenatico e Cervia. Al vertice del sodalizio spicca anche la custodia cautelare per il 34enne Francesco Patamia, candidato alla Camera con ’Noi moderati’ a Piacenza e ritenuto col padre Rocco promotore del piano criminoso. L’indagine era partita dalla segnalazione di investimenti anomali della famiglia Patamia fatta dal sindaco di Cesenatico, Matteo Gozzoli.

A Cervia, i Patamia e Serra, unitamente ad altri indagati, compiendo condotte di autoriciclaggio e con modalità minatorie, sono accusati di aver indotto un 35enne cervese a cedere il laboratorio della Dolciaria Italiana srl di via Levico 18, poi divenuto sede di società riconducibili a Saverio Serra. Quest’ultimo è considerato "l’organizzatore dell’associazione, che nei momenti di tensione rispetto alle dinamiche dell’attività criminale del sodalizio manifestava tutto il suo diritto di preminenza". Le neo società, secondo gli inquirenti, venivano poi intestate a compiacenti prestanome.

Oltre alla Dolciaria Italiana, identica sorte era toccata al Forno Imolese srl, con sede legale a Bagnacavallo, dichiarato fallito nel 2021 con un passivo di 835mila euro: entrambe le attività erano amministrate da un prestanome, ma nei fatti gestite dalla famiglia Patamia e da Saverio Serra. Agivano in Romagna, ma anche in Emilia e altre città. Nel Modenese, Saverio e Leoluca Serra con metodi spicci avrebbero tentato di ottenere 50mila euro, come restituzione di una caparra (più 15mila euro di lavori non concordati) per l’acquisto di un immobile, non concluso e occupato abusivamente dalla famiglia Serra per un anno e mezzo. "Vengo e ti taglio la testa e giro per Campogalliano, io la giustizia me la faccio. Perché sai il corso dei giudici finisce, poi inizia un’altra giustizia, quella divina. Ti giuro che questa casa qua se non me la prendo io non se la prende nessuno": queste le minacce alla proprietaria di Serra, accusato anche di averle fatto incendiate l’auto.