Non solo mancava "del tutto la prova "che quei farmaci fossero "stati prelevati" proprio da quella residenza per anziani (cra) di Alfonsine. Ma non c’era stata "alcuna menomazione patrimoniale per la pubblica amministrazione": e così non era possibile "ravvisare alcuna concreta offensività" del reato contestato, il peculato in concorso. Nel complesso, una "consistente e insuperabile lacuna probatoria" caratterizzata da un "fragile sfondo dimostrativo".
È la ragione per la quale il collegio penale del tribunale di Ravenna, presieduto dal giudice Cecilia Calandra, il 12 settembre scorso aveva assolto la 51enne ex infermiera Daniela Poggiali e una familiare 54enne "perché il fatto non sussiste". Le richieste delle difese - avvocati Lorenzo Valgimigli, Gaetano Insolera, Alice Rondinini e Alessandro Gamberini - erano state di segno analogo alla luce anche dell’avvenuto risarcimento di 400 euro, comprese spese legali e danno d’immagine. La procura aveva invece chiesto la condanna a 5 anni per la prima imputata e a 2 anni e 6 mesi per la seconda la quale lavorava nella struttura alfonsinese in qualità di operatrice socio sanitaria (oss) per conto di una cooperativa. Il pm Angela Scorza, titolare del fascicolo, a questo punto avrà la possibilità di fare ricorso in appello.
Il caso giudiziario, come sintetizzato nelle motivazioni appena depositate a firma del giudice Cristiano Coiro, aveva preso corpo dal sequestro avvenuto il 24 dicembre 2020 del telefonino dell’ex infermiera Poggiali condannata qualche giorno prima a 30 anni per l’omicidio di un suo paziente all’ospedale di Lugo e per questo finita in custodia cautelare in carcere (è stata poi definitivamente assolta e scarcerata). Gli approfondimenti investigativi si erano quindi concentrati sui messaggi che la 51enne aveva scambiato con la 54enne il 28 ottobre; il 13, 20, 25 novembre e il 15 dicembre sempre del 2020.
In buona sostanza l’ex infermiera chiedeva all’altra garze sterili, teloni assorbenti e vari farmaci necessari per l’assistenza domiciliare di una familiare. In alcune occasioni la 54enne aveva risposto con frasi del tipo "ho fatto la spesa". E aveva segnalato anche che guanti e altri prodotti analoghi, erano stati gettati tra i rifiuti. A quel punto gli inquirenti avevano ipotizzato che la 54enne, sobillata dalla 51enne, si fosse appropriati di farmaci e presidi medici dalla struttura dove lavorava. E così il 18 gennaio 2021 erano scattate tre perquisizioni con sequestro di materiale.
Erano state anche acquisite le fatture di acquisto e i documenti di trasporto dei medicinali: dal successivo incrocio dei dati, era emerso il riscontro tra lotti solo su tre prodotti: Diprosone, Bionech e Medrol. E perciò "l’analisi deve necessariamente muovere dai soli tre farmaci" in questione. Per quanto riguarda il Diprosone, era "stato consegnato alla cra il 18 gennaio", data della perquisizione domiciliare con sequestri. Un dato che "esclude in radice che il possesso del farmaco da parte delle imputate possa ascriversi a peculato". Per il Medrol, "la sua sottrazione illecita collide con una sua possibile prescrizione su ricetta cartacea" fatta dalla dottoressa che seguiva la familiare assistita da Daniela Poggiali. Ciò insomma rappresenta una "ipotesi alternativa adeguatamente corroborata" dal fatto che sulla confezione non vi fosse la dicitura "farmaco ospedaliero". Infine per il Bionech, "risulta provato che sia stato consegnato alla cra ad agosto 2020": significa che, "in tesi d’accusa, le imputate se ne sarebbero appropriate al più presto a ottobre 2020". Ma - sempre secondo le motivazioni dell’assoluzione - "è del tutto inverosimile che il farmaco sia rimasto nella cra come scorta per circa tre mesi". Tanto più che una testimone "ha spiegato che non vi era una scorta e che l’approvvigionamento avveniva su base settimanale". E se per i tre farmaci con corrispondenza di lotto "non risulta provata la loro provenienza dalla struttura residenziale", alla stessa conclusione si deve arrivare per tutto il resto del materiale medicale sequestrato.
In definiva per il collegio, si era di fronte solo a "meri indizi deboli", "elementi fragili", con "possibilità di una lettura plurivoca dei fatti". Da ultimo, la questione "del danno patrimoniale: 100 euro, "il che non consente di ritenere integrato il peculato".
Andrea Colombari