"Nessuna somministrazione di potassio"

I giudici: "Dopo sette anni si può dire con assoluta certezza che non esistono uccisioni o morti causate dalla Poggiali"

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Quella paziente "non ricevette nessuna somministrazione di potassio". Anzi, "ora, dopo sette anni, si può dire con assoluta certezza che non esistono uccisioni avvenute in passato o morti causate dalla Poggiali".

Sette anni sono quelli trascorsi tra il decesso, verificatosi l’8 aprile del 2014 all’ospedale di Lugo, della paziente 78enne Rosa Calderoni di Russi e l’assoluzione, pronunciata il 25 ottobre scorso "perché il fatto non sussiste", dell’ex infermiera Daniela Poggiali, oggi 49enne. Le motivazioni della corte d’assise d’appello di Bologna, appena depositate, portano la firma del presidente Stefano Valenti andato in pensione poco dopo la sentenza. E si articolano attraverso più di 250 pagine: una mole in parte giustificata dalla singolare storia di questo processo giunto al sesto grado di giudizio. Sì, perché l’ex infermiera, dopo essere stata condannata in primo grado all’ergastolo con l’accusa di avere ucciso la 78enne con una iniezione di potassio, era stata assolta in due successivi appelli sconfessati da altrettante cassazioni. Ci si trovava insomma di fronte a un appello-ter: una situazione rarissima, verificatasi giusto una manciata di volte in tutta la storia della Repubblica.

Per venire a capo di quella che nelle motivazioni è stata definita da subito come "vicenda processuale molto complessa", la corte aveva a suo tempo deciso di integrare il dibattimento con ulteriori perizie sia medico-legali che statistiche. Il risultato di assoluzione – scrive il giudice Valenti - ha una giustificazione addirittura algebrica: "Assegnando un valore positivo o negativo da 1 a 10 a ciascun elemento", l’accusa partiva da un totale (da noi calcolato) di +28 tra primi indizi e prime elaborazione statistiche diventato -7 "a seguito del crollo" dei vari elementi. E proprio la statistica inziale che attribuiva alla Poggiali tassi di mortalità in corsia ritenuti sospetti, avrebbe potuto avere "il valore di input conoscitivo per orientare un’articolata indagine di polizia giudiziaria". Ma ciò "fu compromesso dalla frettolosa e maldestra sovrapposizione della iniziativa inquisitoria e repressiva adottata dai vertici Asl pur a fronte di un sospetto omicidio, e quindi indebitamente". Il riferimento implicito è per le indagini interne con autopsie ritenute dagli inquirenti irrituali e con la raccolta, in quei giorni, del materiale usato per i pazienti e conservato in bidoni a parte. Tra questi, anche il deflussore per l’accusa appartenuto alla 78enne e all’interno del quale era stata trovata una soluzione di potassio sebbene la Calderoni non la avesse tra le sue terapie. Ma la sua concentrazione (70-77) era "terapeutica e pertanto non può essere di per sé dimostrativa di somministrazione anomala".

Come dire che quel deflussore apparteneva cioè ad altro paziente, tanto che nell’ago in fondo era stato trovato Dna maschile: e una sostituzione da parte della Poggiali a scopo di "falsificazione delle prove" è "ipotesi smentita dai rilievi obiettivi". Lo stesso vale per la siringa usata per il prelievo delle 8, quello che aveva restituito valori di potassio normali sulla paziente: "Non era possibile prevedere che fosse fatto un prelievo idoneo a evidenziare la somministrazione letale: pertanto non è congruo ipotizzare che l’imputata "si fosse premunita di campione ematico neutro per effettuare l’ardita manipolazione".

a. col.