Nidi stampati in 3D per far tornare il ghiozzo go

Il progetto di Fondazione Flaminia e Cestha per ricreare un habitat artificiale e salvare la specie ittica tipica del ravennate ormai del tutto scomparsa

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Per i più anziani fra gli antichi pescatori della Pialassa era una presenza costante in quella parte di habitat ravennate, così come in molti ambienti di transizione come valli, lagune e foci salmastre. Poi il ghiozzo go è diventato sempre più raro, fino a sparire in maniera pressoché totale dalle zone umide ravennati. Per far di nuovo nidificare questo pesce dal corpo sinuoso e dalla colorazione vagamente simile a un marmo intessuto di venature è nato il progetto ‘GO Restocking’, coordinato dal Centro per l’Innovazione di Fondazione Flaminia e finanziato nell’ambito del Flag Costa dell’Emilia-Romagna. In questa regione il ghiozzo gò è pressoché scomparso, così come le piante fanerogame marine in cui nidificava: attualmente l’animale – nome scientifico Zosterisessor ophiocephalus – popola ancora la laguna di Venezia, oltre ad altre parti del Mediterraneo e del Mar Nero, nei luoghi dove il suo habitat non è stato compromesso come sfortunatamente accaduto a Ravenna.

A occuparsi della costruzione dei nidi dei ghiozzi gò è stato il Centro sperimentale per la tutela degli habitat di Marina di Ravenna. Nelle vasche del Cestha, popolate in ugual misura di esemplari maschi e femmine, provenienti da ambienti in cui sono ancora presenti, hanno dunque visto la luce dei nidi stampati in 3D che riproducono fedelmente la forma di quelli che il maschio di ghiozzo go scava nel fango dei fondali, "servendosi delle radici delle piante acquatiche come fossero stalattiti", spiega il direttore del Cestha Simone D’Acunto. "E’ lì che la femmina depone le uova". L’architettura dei nidi costruiti al Cestha era basata, piuttosto che sulla radici, su filamenti di iuta e canapa: "Il fatto sorprendente è che le nidificazioni siano andate a buon fine già nel primo anno del progetto, che ha visto le larve svezzate (ad occuparsene è stata la Naturedulis di Goro, ndr)", evidenzia D’Acunto. "Un fatto decisamente non comune per un programma di ripopolamento". Per i giovani ghiozzi go ravennati arriva ora la parte più complicata del progetto: tornare ad abitare le zone umide ravennati. "L’obiettivo di questa fase 1 era dimostrare che i ghiozzi go sono in grado di utilizzare quei nidi artificiali per deporre le uova, e che la loro struttura è in grado di condurre a buon fine la deposizione. Ora si può valutare di posizionare una quota di quei nidi in natura, ad esempio nella Pialassa, dando vita a una sorta di allevamento controllato".

In futuro tuttavia i ghiozzi, per poter tornare ad essere a tutti gli effetti degli abitanti delle zone umide, dovranno poter camminare, anzi nuotare, da soli. "Per questa specie è fondamentale poter ricostituire l’habitat di piante aquatiche in cui ha sempre vissuto. A quel punto, una volta che potranno tornare a nidificare tra le loro radici, non avranno più bisogno dei nidi", conclude D’Acunto. L’esistenza di quelle piante – abitanti di un territorio piuttosto fragile dal punto di vista dell’equilibrio climatico – fu messa a repentaglio soprattutto dalle attività esercitate sui fondali, in particolare quelle forme di pesca, spesso illegali, che prevedono il raschiamento del fondale. "Nella Pialassa sono già previsti progetti di rinaturalizzazione: il ripopolamento di ghiozzi go e quello delle piante acquatiche fra cui vivono potrebbero essere due ulteriori capitoli".

Filippo Donati