Non è vaccinata: "Niente stipendio". Ma il giudice condanna l’Ausl. All’infermiera 12mila euro

La professionista, a casa in maternità, non si era immunizzata contro il Covid . Per questo l’azienda le aveva negato l’indennità. Di parere opposto il magistrato.

Non è vaccinata: "Niente stipendio". Ma il giudice condanna l’Ausl. All’infermiera 12mila euro

Non è vaccinata: "Niente stipendio". Ma il giudice condanna l’Ausl. All’infermiera 12mila euro

Anche se quella giovane infermiera non era vaccinata contro il covid19, l’Ausl non avrebbe mai dovuto “negarle l’indennità” visto che lei “in quel momento non stava lavorando” perché “in regolare congedo di maternità”. Il giudice del lavoro Dario Bernardi, è stato anche più esplicito nella sentenza, di recente depositata, con cui ha condannato l’Azienda a pagare alla donna – una 35enne da una dozzina di anni infermiera, associata al sindacato Nursind e tutelata dall’avvocato Fabrizio Righini - i circa 7.500 euro di indennità di maternità che mancavano all’appello oltre a più di 4.000 euro di spese di lite: “E’ a dir poco ovvio che il dipendente con rapporto già temporaneamente sospeso, non potesse nuovamente essere sospeso per mancanza di vaccinazione”.

Il braccio di ferro con l’Ausl, rappresentata dall’avvocato Roberta Sama, si era innescato in quel periodo nel quale per esercitare una professione sanitaria - cioè per venire a contatto con persone potenzialmente molto fragili -, era necessario essersi vaccinati contro il covid19. Sembra una vita fa e invece la vicenda è maturata a inizio 2022 quando – con deliberazione del 9 febbraio di quell’anno – il consiglio direttivo del suo ordine professionale, aveva accertato per la 35enne il “mancato adempimento dell’obbligo vaccinale”. Il 13 aprile successivo, era scattata una comunicazione formale in tal senso al datore di lavoro, e cioè l’Ausl Romagna. E così a partire da quel fatidico 9 febbraio appunto, l’Azienda aveva sospeso l’infermiera precisandole che in quel periodo non avrebbe ricevuto “alcun emolumento”. A maggio sempre il consiglio direttivo dell’ordine professionale aveva rilevato che in effetti quella sua iscritta aveva prodotto documentazione sufficiente per arrivare a revocarle temporaneamente la sospensione. E il 22 giugno l’Ausl ne aveva preso atto. Ma rimaneva fuori tutto il periodo da febbraio a maggio: cioè i 7.500 euro. “In tutto questo – ha rilevato il giudice – mancava una circostanza fondamentale riportata dalla difesa”. Ovvero che la donna si trovava in congedo per maternità sin dal 2021. E con provvedimento dell’ispettorato del Lavoro di Ravenna, era stata autorizzata ad astenersi dal lavoro fino a sette mesi dopo il parto: l’effetto insomma – come peraltro attestato dalla direzione infermieristica – si estendeva fino al 13 luglio 2022.

Nonostante ciò, l’Ausl l’aveva sospesa – senza indennità - dal 9 febbraio al 25 maggio, data in cui lei era diventata immune per avere contratto il covid19. “Una scelta errata – ha proseguito il giudice – sospendere rapporto di lavoro e retribuzione dell’operatore sanitario a causa dell’assenza del certificato vaccinale nel caso in cui il rapporto di lavoro fosse già sospeso per una ragione legittima” come la maternità, “con conservazione del diritto alla retribuzione”. Sì, perché a lavoro già sospeso, venivano meno “le ragioni della vaccinazione obbligatoria del sanitario” il quale in quel momento era come chiunque altro e “non già come un frequentante permanente degli ambienti sanitari e ospedalieri”. Per queste ragioni il ricorso della 35enne è in definitiva fondato.

Andrea Colombari