REDAZIONE RAVENNA

"Non le sfregiò il volto". Condanna, ma per lesioni

Assolto per i maltrattamenti, 4 mesi per la cicatrice che un uomo provocò alla moglie col telecomando. Lui: "Il livido? Perché si sbiancava la pelle".

L’avvocato Alessandra Giovannini tutelava la vittima come parte civile

L’avvocato Alessandra Giovannini tutelava la vittima come parte civile

Si chiude con una condanna a quattro mesi – ma anche con un’assoluzione – il processo che ha visto imputato un 53enne africano accusato di aver colpito la moglie al volto con un telecomando. I giudici del collegio (presidente Antonella Guidomei, a latere Cosimo Pedullà e Natalia Finzi) lo hanno assolto dall’accusa di maltrattamenti in famiglia, ma lo hanno riconosciuto colpevole di lesioni aggravate, riqualificando il reato inizialmente contestato: non sfregio permanente, come richiesto dalla Procura, bensì una ferita che lascia un segno permanente, ma non comporta una vera e propria deformazione del volto.

Decisiva, in questo senso, la perizia medico-legale: la cicatrice di quattro centimetri che la donna porta sul volto a oltre un anno dall’episodio non è bastata, secondo i periti, a configurare la “deformazione dell’aspetto della persona”, come prevede l’articolo 583-quinquies del codice penale. All’origine dell’aggressione, avvenuta il 7 aprile 2023, un litigio esploso dopo che la donna, 46 anni, avrebbe scoperto che il marito aveva una seconda moglie, contravvenendo a un impegno preso all’atto del matrimonio, in cui dichiarava di rinunciare alla poligamia.

In aula, l’imputato ha negato ogni addebito: ha raccontato di essere uscito dopo una discussione e di aver trovato la moglie già con un livido al rientro, attribuendolo a pratiche di sbiancamento della pelle, "comuni nei Paesi africani", che la rendevano particolarmente delicata, ha dichiarato. Ma la sua versione non ha convinto del tutto i giudici. Alla parte civile, rappresentata dall’avvocato Alessandra Giovannini, è stata riconosciuta una provvisionale di 4.000 euro: quella sera la donna non avrebbe avuto solo un livido, ma il volto tumefatto, lividi sul corpo e una ferita lacero contusa allo zigomo. Il processo è stato segnato anche da momenti teatrali: in una delle scorse udienze, gli avvocati della difesa, Matteo Olivieri ed Elena Fenati, hanno mostrato in aula alcuni abiti di seta tipici dell’Africa, che l’uomo avrebbe trovato strappati sotto l’armadio mentre pregava. Quegli abiti, secondo la difesa, erano stati distrutti dalla donna in un impeto di gelosia, segno di un rapporto conflittuale e non univocamente violento da parte dell’uomo.

Il caso aveva suscitato anche un confronto interno alla Procura. Due pm erano contrari all’imputazione per sfregio, ritenendo che quel reato richiedesse un’azione intenzionale, come l’uso di acidi o lame. Un altro pubblico ministero, invece, aveva invece sposato la linea della parte civile. Il tribunale ha infine scelto una via intermedia, mentre la procura chiedeva un’assoluzione complessiva. Resta aperta la questione sull’identità dell’imputato, che si dichiara congolese, ma che secondo alcuni documenti sarebbe senegalese. Un dettaglio che la parte civile ha cercato di utilizzare per minarne la credibilità.

l. p.