Omicidio di Faenza: si sospetta che il killer di Ilenia Fabbri avesse le chiavi

Diversi elementi avvalorano il nuovo scenario al vaglio degli inquirenti, a partire dal sangue e dalle ciocche tra la camera e le scale

Il vano cucina dove è avvenuto l'omicidio di Ilenia Fabbri (Zani)

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Faenza (Ravenna), 10 febbraio 2021 - Un omicidio compiuto su commissione con l’assassino che è salito di sopra fino alla camera da letto proprio per cercare la vittima e aggredirla. La donna a quel punto ha tentato un’estrema ma inutile fuga, naufragata poco dopo all’interno del vano uso cucina al primo di tre livelli del suo appartamento di via Corbara alle porte del centro di Faenza. Si tratta dell’ultima ipotesi al vaglio degli inquirenti per spiegare l’omicidio di Ilenia Fabbri, la 46enne trovata sgozzata poco prima dell’alba di sabato scorso. Finora un giallo, certo, ma che potrebbe avere imboccato un sentiero preciso: ovvero quello di un assassino che ha agito su mandato di un’altra persona e che è forse riuscito a entrare dal garage – trovato aperto dalla polizia al suo arrivo poco dopo il delitto – con una copia delle chiavi.

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Sono diversi gli elementi che puntellano questa nuova chiave di lettura, a partire dalle tracce di sangue e dalle ciocche di capelli isolate dalla polizia Scientifica tra la camera e, via via, giù per le scale. Non solo: la figlia Arianna ha ricordato di avere lasciato la madre in camera e di avere chiuso bene a chiave le porte uscendo di casa alle 5.59 per andare assieme al padre Claudio, ex marito della defunta, fino a Milano a ritirare una vettura. E invece la Volante al suo arrivo alle 6.20 ha trovato quella del garage aperta: il corpo della donna era pochi metri più avanti.

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Da quella parte non esiste campanello, né è emerso che qualcuno abbia bussato, come riferito dall’amica della figlia, pure lei di nome Arianna, che quella notte era rimasta a dormire là dentro e che alle 6.06 ha dato l’allarme all’amica dopo essersi barricata in stanza per via di urla e trambusto. L’unico campanello è quello della porta principale: là dove alle 6.10 la vigorosa scampanellata di un vicino preoccupato per le urla provenienti dall’alloggio della 46enne, non ha sortito reazioni: a quell’ora l’assassino, che dunque non è presumibilmente entrato o uscito da lì, aveva con buona probabilità già compiuto il suo crimine o addirittura si era già allontanato. Che dire poi dell’assenza di segni di effrazione sia su porte che su finestre emersa dopo i minuziosi rilievi degli inquirenti. Ma soprattutto c’è un elemento che spinge verso la possibile presenza di un sicario sulla scena del crimine: non sono state finora isolate impronte, sia dentro che fuori l’abitazione, nonostante la donna si trovasse in una pozza di sangue.

E ciò potrebbe costituire dimostrazione della premeditata oculatezza di un killer: di un individuo cioè entrato per uccidere dopo avere adottato tutte le opportune precauzioni per non lasciare tracce. Su questo fronte, dalla relazione conclusiva dell’autopsia, affidata domenica dal pm Angela Scorza a due medici legali veronesi, si attendono tante risposte. Lo stesso vale per la compatibilità tra il profondo taglio al collo della donna praticato da tergo a partire da sinistra, e il coltello da cucina in ceramica con lama piatta maldestramente ripulito in un lavello: sarà determinante capire se sia effettivamente l’arma del delitto e, nel caso, significherebbe che – se di omicidio premeditato si è davvero trattato –, il killer ha usato un’arma occasionale recuperata sul posto dopo avere magari fallito altri tentativi. Oltre che ai rilievi e alla dinamica omicidiaria, gli investigatori sono alla ricerca di un possibile movente: il Procuratore capo facente funzione Daniele Barberini, ha già escluso la cosiddetta pista passionale dato che la relazione con l’ex marito si era chiusa nel 2018 e quella con il nuovo compagno Stefano andava molto bene tanto che i due, secondo le amiche del cuore di lei, avrebbero voluto sposarsi al più presto.

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Inoltre la donna non aveva relazioni clandestine. Si valutano cioè altre ipotesi anche sulla base delle testimonianze di amici, colleghi di lavoro, vicini, familiari e avvocati civilisti che avevano seguito i due coniugi per contenziosi successivi alla separazione approdati all’assegnazione della casa di via Corbara alla 46enne. Anzi, uno era ancora in piedi: si tratta di una causa di lavoro che la donna aveva promosso contro l’ex marito per reclamare mancati compensi per circa 100mila euro a suo avviso relativi alla sua collaborazione nell’impresa di famiglia, una officina di Faenza: la prossima udienza, la seconda, era stata fissata per il 26 febbraio, giorno nel quale davanti al giudice Dario Bernardi avrebbero dovuto sfilare i testimoni delle parti.