Ravenna, omissione di soccorso su 17enne. Assolto padre Pietro Gandolfi

Incidente in via Sant’Alberto. Il giudice: il fatto non costituisce reato

Padre Gandolfi

13-12 -2015 - casalborsetti chiesa , i giovani portano un ricordo e piantano albero in ricordo degli amici scomparsi.

Ravenna, 16 marzo 2018 - Era entrato in aula con una condanna arrivata da decreto penale, poi opposta. Ne è uscito ieri mattina con un’assoluzione, «perché il fatto non costituisce reato». Padre Pietro Gandolfi, 79 anni, si trovava a processo per omissione di soccorso con l’accusa di essersi allontanato subito dopo avere causato verso le 18 del 12 aprile 2014 un incidente su via Sant’Alberto nel quale era rimasto ferito uno scooterista 17enne di Alfonsine. A suo tempo il gip, su richiesta della procura, aveva emesso un decreto di condanna pari a 4 mesi e 15 giorni di reclusione, convertiti in una pena pecuniaria (sospesa) da 33 mila e 750 euro oltre alla sospensione patente per due anni e mezzo.

Ma «colpevole non sono e così vado avanti», aveva spiegato in aula lo stesso padre Gandolfi commentando la decisione di opporsi al decreto attraverso il suo avvocato Enrico Maria Saviotti con conseguente avvio del processo. E ieri mattina il giudice Corrado Schiaretti gli ha dato ragione, probabilmente valutando carente la prova del cosiddetto elemento soggettivo, ovvero la consapevolezza dell’imputato di fronte al reato così come contestato. Naturalmente occorrerà aspettare che vengano depositate le motivazioni prima di potere dire che è davvero andata così. In ogni caso, in quel momento la procura, che aveva chiesto una condanna a nove mesi di carcere, avrà la possibilità di fare appello.

Secondo i rilievi della Stradale, al 17enne era stata tagliata la strada. Il prete, su un’auto intestata alla congregazione dei missionari di San Carlo, per gli agenti era ripartito dopo avere inizialmente rallentato. Due le infrazioni che gli erano state contestate: l’avere effettuato la svolta a sinistra su via Cilla quando invece era obbligato dalla segnaletica a proseguire diritto; e l’avere con quella svolta creato pericolo per gli altri utenti della strada. L’assicurazione aveva poi risarcito i danni, tanto che la famiglia del 17enne non ha mai presentato querela per le eventuali lesioni riportate dal ragazzo. La difesa aveva però lamentato il fatto che sullo scooter delgiovane non vi fossero segni riconducibili alla vettura del prete. E che comunque non ci fossero testimonianze univoche sull’accaduto.

«Faccio spesso quella strada – aveva ricordato il sacerdote davanti al giudice –. Quella sera metto la freccia a sinistra e dopo 100 metri vedo dal retrovisore un’auto dietro di me che lampeggia. Che è successo?, mi domando. E allora mi fermo, esco per vedere se ci siano danni sulla carrozzeria». Come dire che non si era accorto di nulla, almeno fino a quando, aveva continuato, «poi guardo in fondo alla strada: ci sono un paio di uomini che spolverano un ragazzo e lo aiutano ad alzarsi. E c’è un motorino per terra». Così lui aveva pensato questo: «Colpevole non sono, vado avanti».

Alle 20.40 di quello stesso giorno, il don aveva incrociato il padre del ragazzino in ospedale: l’imputato aveva però negato che si fosse trattato di una visita dettata da un eventuale senso di rimorso ma l’aveva spiegata così: «Io mi occupo di marinai (attraverso l’associazione religiosa Stella Maris, ndr) e dovevo andare a trovare un marinaio ricoverato. All’accettazione sentii un padre che parlava del figlio e gli dissi che mi dispiaceva. Ma non ero consapevole di essere stato coinvolto in un incidente stradale».