Palazzo Vitelloni, storia di un gioiello che tornerà a splendere

Il Palazzo Vitelloni, l’ex sede della Banca d’Italia che presto tornerà a nuova vita, occupa un’area dove un tempo sorgeva il palazzo di Girolamo Rasponi, raso al suolo a seguito di una sentenza che condannava i Rasponi per il famoso eccidio dei Diedo compiuto nel gennaio del 1576 mentre tutta la famiglia era riunita nel palazzetto veneziano di via Gordini. A seguito di questo fatto di sangue, il presidente di Romagna giunse a Ravenna con due precisi mandati: radere al suolo il palazzo di Girolamo Rasponi, "edifizio sontuoso" e "di grande ornamento alla città", e inviare a Savarna il governatore Dionigi Ratta per demolire la Torre dove Girolamo aveva radunato la famiglia dopo l’eccidio dei Diedo. Nel marzo, infine, venne messa una taglia di mille scudi d’oro a beneficio di chi avesse ammazzato, o consegnato alla giustizia, Girolamo Rasponi. Il palazzo di Girolamo venne demolito, centocinquanta muratori che lavorarono per tre giorni e, a operazione ultimata, provvidero a spargere sale sull’area affinché nulla potesse essere edificato.

E, come scrive Guido Umberto Maioli, "niente in quattro secoli vi è più sorto, se non il brutto scalone". Maioli, dunque, parla di un "brutto scalone" e che il manufatto non fosse un capolavoro di bellezza lo dimostra il fatto che il santalbertese Francesco Talanti gli dedicò un sonetto dal titolo ’Incumpatibilité‘ nel quale metteva assieme un elenco di palesi stonature che tuttavia avrebbero potuto andar d’accordo “piò che la schela in t’e palazz d’Raspon”. Scrive Gaetano Savini che prima di questo “scalone”, costruito ai primi del Novecento, ne esisteva un’altro, anch’esso a due rampe. Poi sullo “scalone” calò il silenzio fino a quando una ventina di anni fa Gregorio Caravita, sul periodico “Classe e Ravenna”, tornò sull’argomento per informare che la scala non era andata perduta perché i suoi “pezzi” in realtà giacevano ammucchiati all’interno del recinto dell’acquedotto di Via Fusconi. Caravita corredò il suo articolo con alcune foto e auspicava il ripristino dello scalone per conferire al fronte del palazzo il suo aspetto originario. Il palazzo è un bell’esempio di opera rimasta incompiuta perché, scrive ancora Maioli, "su nessun lato mostra pur l’ombra di rifiniture architettoniche, manca di scalone interno, e del portale d’ingresso". Nella “Guida” del Beltrami si legge che il palazzo fu eretto su disegno di Benedetto Fiandrini mentre Corrado Ricci afferma che fu opera di Carlo Fontana. Ma nessuna delle due ipotesi, secondo Umberto Foschi, è giusta.

Franco Gàbici