
La donna è beneficiaria di pensione di guerra di reversibilità (foto di repertorio)
Ravenna, 24 maggio 2025 – Ultranovantenne ravennate e beneficiaria di pensione di guerra di reversibilità perché orfana inabile e segnata da disagio economico. Tutto bene finché il 2 settembre dell’anno scorso non le è stato comunicato che avrebbe dovuto restituire quasi 53 mila euro incassati nonostante per ben nove anni di fila (dal 2015 al 2023) avesse superato il reddito limite previsto dalla legge. Soldi che lo Stato le aveva dato nonostante non le spettassero. Ma la Corte dei Conti ha dato ragione al ricorso che la signora - attraverso l’avvocato Massimiliano Ricci Mingani - aveva fatto contro il ministero dell’Economia e delle Finanza.
In buona sostanza, tenendo presente l’età della signora, non c’era stato dolo: nemmeno alla luce della firma sulle “dichiarazioni che la obbligavano a comunicare il superamento del limite”. E poi il tetto non era “stato superato dall’importo netto della pensione, ma solo dal lordo” e per poche centinaia di euro. Il ricorso è stato dunque dichiarato “fondato”. E il ministero è stato pure condannato a pagare 2.000 euro di spese di difesa più il 15% per le spese forfettarie.
Torniamo allora alla comunicazione nella quale alla signora era stato riferito che a partire dal primo gennaio 2016 “era venuto meno il suo diritto di percepire il trattamento pensionistico” di guerra con “conseguente debito a suo carico di 52.548 euro”. La donna aveva allora presentato istanza di autotutela alla sede di Ravenna della Ragioneria territoriale dello Stato alla luce di un decreto del 1999 che, “in assenza di dolo” non consente il recupero “di quanto indebitamente erogato”. Nel successivo ricorso era stato fatto presente che nel calcolo redditi non potevano rientrare quelli prodotti da “immobili non locati soggetti a Imu” (vedi quello del quale è comproprietaria). E che comunque il limite di redditi era stato sforato solo in tre annualità. Il suo legale aveva soprattutto puntato sul dato anagrafico: la signora era ormai ultranovantenne e il suo reddito, “cresciuto come conseguenza della perequazione”, aveva “superato di poco il limite” per via di una “modesta pensione pari a circa 1.250-1.300 euro”. Si chiedeva inoltre la sospensione del recupero del gruzzoletto già avviato dalla Ragioneria ravennate. La ragioneria, questa volta sede di Bologna, si era opposta a tutte le richieste paventando un “dolo omissivo: per non avere informato l’amministrazione”.
I giudici contabili, dopo avere sospeso il 23 gennaio scorso il procedimento di recupero dei soldi, hanno dato ragione all’anziana: nel suo comportamento non c’era stato alcun intento fraudolento.