Un’altra crisi aziendale si è abbattuta in questi giorni sul mondo del lavoro nel territorio faentino e, come accaduto quattordici anni fa per l’Omsa e nove anni fa per la Cisa, di nuovo nell’occhio del ciclone c’è un’azienda i cui prodotti sono entrati in tutte o quasi le case degli italiani, sotto forma di stampanti, toner e cartucce. La Prink, azienda con sede a Castel Bolognese, ha infatti depositato, insieme alla srl cremonese con cui costituisce un gruppo di imprese, la richiesta di concordato con continuità aziendale, "con l’obiettivo di congelare la situazione davanti ai creditori – spiegano dalla Filcams Cgil –, e di ottenere la cassa integrazione per crisi, per la durata di dodici mesi a partire da agosto, per 63 dipendenti dell’impianto, cioè tutti ad esclusione di un paio di dirigenti".
L’attività di Prink non si limita alla produzione nello stabilimento con sede sulla via Emilia: l’azienda conta infatti, come si legge sul suo sito, più di mille punti vendita, soprattutto in Italia ma anche in dodici altri paesi europei. "Una rete di franchising enorme, che ci è parso sia in qualche modo sfuggita di mano all’azienda", fa notare per la Filcams Tecla Andreola. È solo una delle ipotesi che i sindacati avanzano per tentare di spiegare come abbia fatto la Prink a precipitare nell’abisso così improvvisamente: "Non è stata fatta, o non ci è ancora stata mostrata, un’analisi approfondita delle cause che hanno spinto l’azienda nel baratro – entra nel dettaglio per la Filcams Cinzia Folli –. Il mercato è cambiato, molte persone non hanno più una stampante, al contrario di quanto accadeva dieci anni fa, ma crediamo debbano esserci realisticamente anche altri motivi. Ad ogni modo, quando un’azienda ha il sentore che il mercato stia mutando, si tenta di mettersi al passo delle sue evoluzioni. Non ci risulta che Prink lo abbia mai fatto. Ancora oggi l’azienda non ha presentato un piano di ristrutturazione industriale". Dovrà farlo entro il 14 ottobre. Nel frattempo alcuni di quei 63 dipendenti si sono dimessi e hanno trovato un nuovo lavoro, ma i numeri di chi finirà in cassa integrazione sono comunque enormi, superiori al mezzo centinaio.
"L’angoscia di quei lavoratori è enorme – prosegue Andreola –. L’azienda non ha più accesso al credito: la procedura di cassa integrazione sarà dunque a carico dell’Inps, che però ha tempi lunghi, possono volerci anche tre mesi. Nel frattempo non fa che aumentare la disperazione dei dipendenti, molti dei quali originari della vallata, dove trovare un nuovo impiego è tutt’altro che semplice". I lavoratori per primi si sono interrogati a lungo sulle cause del tracollo dell’azienda: "Negli incontri tenuti fino a qui sono state citate le difficoltà innescate prima dal Covid e poi dall’inflazione causata dalla guerra in Ucraina, ma a denti stretti vari dipendenti ci hanno confidato di credere che siano state fatte a monte scelte industriali sbagliate. I prodotti di Prink si sono sempre rivolti al privati cittadini, gli stessi che però, da alcuni anni, spesso non possiedono più una stampante, avendone bisogno raramente – conclude Andreola –. Fino a qualche anno fa l’azienda era sana, regolare nei pagamenti. Per capire cosa è successo realmente dobbiamo visionare il piano concordatario".
Filippo Donati