Processo per il delitto Minguzzi. Decisa una nuova perizia fonica sulla voce del telefonista

Così ha stabilito la corte d’assise d’appello di Bologna per sgombrare ogni dubbio sul giallo di 37 anni fa. In primo grado i tre imputati erano stati tutti assolti: si tratta di due ex carabinieri di Alfonsine e dell’idraulico.

Processo per il delitto  Minguzzi. Decisa una nuova perizia fonica sulla voce del telefonista

Così ha stabilito la corte d’assise d’appello di Bologna per sgombrare ogni dubbio sul giallo di 37 anni fa. In primo grado i tre imputati erano stati tutti assolti: si tratta di due ex carabinieri di Alfonsine e dell’idraulico.

Ne verrà disposta una nuova anche se la precedente rimarrà comunque agli atti del processo. Nella tarda mattinata di ieri la corte d’assise d’appello di Bologna ha deciso di dare incarico per una perizia fonica sulla voce del telefonista che ai familiari chiese il riscatto di 300 milioni di lire per la liberazione di Pier Paolo Minguzzi, 21enne studente universitario di Alfonsine, figlio di imprenditori dell’ortofrutta e carabiniere di leva a Bosco Mesola, nel Ferrarese, rapito e subito ammazzato nella notte tra il 20 e il 21 aprile 1987 mentre, in un periodo di licenza pasquale, rincasava dopo avere riaccompagnato la fidanzata.

I suoi aguzzini infine lo gettarono nel Po di Volano da dove il corpo riaffiorò l’1 maggio successivo. Due gli esperti individuati dalla corte bolognese: sono entrambi professori dell’università di Milano e di quella di Catania. Il quesito finale verrà loro formulato nell’udienza fissata per il 17 ottobre. Per ora il presidente della corte Orazio Pescatore ha fornito una traccia di massima: gli aspetti che i due periti dovranno chiarire, riguardano sia il metodo più accreditato dalla comunità scientifica per determinare se la voce del telefonista possa appartenere o meno a uno dei tre imputati. Che la questione sulle inflessioni dialettali e le relative attribuzioni territoriali.

In totale sono tre gli imputati: tutti assolti in primo grado il 22 giugno 2022, dopo poco più di un’ora di camera di consiglio, "per non avere commesso il fatto" a fronte di tre richieste per altrettanti ergastoli. Si tratta di due ex carabinieri al tempo in servizio alla caserma di Alfonsine: il 59enne Angelo del Dotto di Ascoli Piceno (avvocato Gianluca Silenzi) e il 58enne Orazio Tasca, originario di Gela (Caltanissetta) ma da anni residente a Pavia (avvocato Luca Orsini). E dell’idraulico del paese: il 67enne Alfredo Tarroni (avvocato Andrea Maestri). In particolare nelle motivazioni, il presidente della corte d’assise di Ravenna, l’allora giudice Michele Leoni oggi in pensione, aveva scritto che si era trattato di "un omicidio di stampo mafioso", un "classico esempio di lupara bianca". Tanto che l’eliminazione del ragazzo "avvenne con un rituale simbolico e tipico delle vicende di mafia". E in quanto al riscatto, la spiegazione poteva celarsi dietro alla volontà di "infliggere alla famiglia un ulteriore pregiudizio" o a mero sciacallaggio.

Di sicuro chi aveva rapito Minguzzi, aveva continuato per tutti il tempo a chiedere il riscatto ben sapendo che il ragazzo fosse già morto. Durante il processo di primo grado, il consulente nominato dal pm Marilù Gattelli, l’ingegnere Sergio Civino, era giunto alla conclusione di una forte corrispondenza tra la voce del telefonista e quella di Tasca campionata in occasione di una tentata estorsione, sempre da 300 milioni, a un altro imprenditore del posto, Contarini. Il perito nominato dalla corte d’assise ravennate, il professor Luciano Romito, si era invece espresso nella direzione opposta scagionando il siciliano.

Andrea Colombari