REDAZIONE RAVENNA

Processo ‘Radici’, cadute buona parte delle aggravanti mafiose: condanne per 98 anni

Per gli imputati il pm della Dda di Bologna, Marco Forte, aveva chiesto 110 anni di carcere

Il giudice Cecilia Calandra, presidente del collegio penale

Il giudice Cecilia Calandra, presidente del collegio penale

Ravenna, 23 gennaio 2025 –  Condanne per un totale di 98 anni sono contenute nella sentenza del processo ‘Radici’, emessa oggi dal collegio penale del tribunale di Ravenna, presieduto dal giudice Cecilia Calandra. Collegio che si era ritirato in camera di consiglio nella mattinata di lunedì scorso. Il pm della Dda di Bologna Marco Forte aveva chiesto pene per oltre 110 anni. L’accusa riguardava tra l’altro il controllo di locali della riviera, gestiti per la procura con modalità mafiose per riciclare denaro della criminalità organizzata.

Tra le condanne più pesanti, cadute buona parte delle aggravanti mafiose, spicca quella a 13 anni e 3 mesi per Saverio Serra, considerato personaggio legato al clan ‘ndranghetistico Mancuso di Limbadi e attualmente in carcere; il pm per lui aveva chiesto 15 anni e 11 mesi. Dieci anni e sei mesi, invece, per Rocco Patamia (la richiesta era stata di 11 anni e 10 mesi), undici anni e 2 mesi per il figlio Francesco, candidato alla Camera alle elezioni politiche con la lista ‘Noi moderati’ (la richiesta era stata di 13 anni).

A parte le spese da liquidare in sede civile, le provvisionali ammontano a 609mila euro, di cui 200mila al forno ‘Dolce Idea Srl’ di Cervia e 35mila al suo legale rappresentante, 250mila al forno Imolese con sede legale a Bagnacavallo, 20.000 al Comune di Cervia, 20.000 a quello di Cesenatico, 10.000 a quello di Imola, 10.000 a quello di Bagnacavallo, 5mila euro a Cgil e altrettante a Cisl e Uil, 5mila a Libera, 3mila euro all’ex portiere di serie A coinvolto come vittima nella vicenda, Marco Ballotta.

Sulla base delle verifiche della guardia di Finanza, è stata contestata l’associazione per delinquere finalizzata a bancarotta, intestazioni fittizie, auto-riciclaggio, estorsioni e altri reati, talvolta con l’aggravante 416 bis. Nel mirino degli inquirenti compravendite di bar, pasticcerie, laboratori artigianali, ristoranti e alberghi, avvenute tra il 2018 e il 2022: quindi si tratta di operazioni condotte anche negli anni dell’emergenza covid, con la conseguente crisi economica e in particolare del turismo proprio sulla costa. Secondo gli investigatori, si trattava in definitiva di investimenti illeciti realizzati con il denaro delle cosche della ‘ndrangheta calabrese.