Quando i goliardi assaltarono il Titano

Il 13 aprile del 1956 diciotto studenti ravennati scalarono le mura della rocca di San Marino e trafugarono armi dei gendarmi

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di Carlo Raggi

Si mossero in diciotto, da Ravenna, a bordo di cinque auto: tutti studenti universitari (molti dei quali sarebbero diventati famosi professionisti), con un obiettivo ben preciso, quello di disarmare la Repubblica di San Marino. Obiettivo pienamente goliardico, ma con venature pacifiste: "Il disarmo comincia da San Marino" secondo lo spirito della conferenza di Ginevra dell’anno precedente, il 1955, fu il motto secondario dell’impresa che molta eco ebbe su quotidiani e rotocalchi dell’epoca. Da quella fantasmagorica azione notturna da commando, sono passati 65 anni.

L’assalto iniziò infatti poco prima della mezzanotte del 13 aprile 1956, si consumò nel giro di un’oretta e si concluse alle prime luci dell’alba: le armi trafugate, una colubrina, una spingarda e un pesantissimo mortaio, furono caricate su una delle vetture e portate a Bologna, nell’abitazione universitaria di uno degli assalitori. Diciamo subito che poco mancò che l’incursione facesse scoppiare un incidente diplomatico fra San Marino e Italia: la finalità goliardica aveva imposto agli studenti di informare subito il governo sammarinese dello scenario dell’impresa con l’aggiunta che per restituire le armi sarebbe bastato un modesto riscatto con cui sedersi tutti, autorità del Titano comprese, attorno al tavolo di una taverna per una grande festa di riconsegna. Richiesta e proposta naturalmente respinte dal Governo.

A essere presa di mira fu la seconda Rocca. Poiché il portone d’ingresso era ben chiuso, alcuni fra gli atletici universitari scalarono le mura di uno dei bastioni sguarniti di sentinelle: dall’interno fu relativamente facile aprire il portone, far entrare i compagni e impossessarsi delle armi sistemate negli alloggiamenti sugli spalti. Raggiunto l’obiettivo, il gruppo di universitari, armi in spalla - mentre il pezzo più pesante, il mortaio, fu portato da due di loro più nerboruti - raggiunse velocemente le auto e via verso Bologna. All’indomani fu spedita la lettera diretta ai Capitani Reggenti, in cui per la restituzione, il gruppo di universitari, tutti goliardi del ‘Sacro venerabile ordine petroniano del Fittone’, chiedevano un "sostanzioso riscatto gastronomico" per restituire il bottino. Ma sul Titano lo spirito goliardico non fu affatto apprezzato, si lamentò la "violazione della sovranità" dell’antica repubblica e fu minacciata l’immediata denuncia alle autorità di polizia per furto e danneggiamento. Visto lo stallo e aumentando il rischio di venire individuati, la sera del 18 una delegazione degli studenti si presentò al console di San Marino a Bologna, Edmondo Rossi, proponendo la consegna del bottino a fonte della certezza che ancora non ci fossero denunce.

Così, alle 8 di quella sera, la spingarda, il mortaio e la colubrina furono depositati in una portineria di via Zamboni indicata dal console. Del gruppo di universitari facevano parte, fra gli altri, i fratelli Piero e Carlo Lobietti, Giancarlo Proli, che sarebbero diventati importanti avvocati ( Carlo è stato anche docente universitario in diritto della navigazione), Adelmo Gambi, farmacista, Manlio Bonfatti, Danilo Casali, che negli anni Settanta fu promotore della prima radio privata a Ravenna, Uber Dondini, che già all’epoca scriveva per il Carlino Ravenna di cui poi divenne capo della redazione.