Quando Ravenna era il cuore dell’Europa

In libreria il nuovo saggio dell’archeologa e studiosa inglese Judith Herrin: 600 pagine dedicate al glorioso passato della città

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di Antonio Patuelli

Vi fu un tempo, dal 402 al 751, in cui Ravenna fu capitale dell’Impero Romano d’Occidente, poi dei regni romano-barbarici ed infine dell’Esarcato bizantino, una storia molto complessa ora dettagliatamente raccontata da una studiosa britannica specializzata in studi bizantini, Judith Herrin, in un volume di 600 pagine (’Ravenna, Capitale dell’Impero, crogiolo d’Europa’, Rizzoli editore). L’imperatore Onorio comprese in anticipo che Roma non era più difendibile dalle invasioni barbariche: sarebbe stata saccheggiata nel 410 e nel 455. Ravenna, costruita su banchi di sabbia e con pali di legno (come poi Venezia), era imprendibile, essendo allora una città lagunare fortificata con solide mura e circondata da corsi d’acqua e paludi, quindi difficilmente raggiungibile da terra e da mare, perché le acque basse, con gli andamenti delle maree, complicavano l’arrivo di navi ostili.

Ravenna era comunque collegata da un canale al grande porto di Classe, originariamente sede della flotta romana. A Ravenna si svolsero le ultime difficili fasi dell’Impero d’Occidente fino al 476, quando subentrarono i re, soprattutto Odoacre e Teodorico, capi di popoli originariamente ostili, quindi “barbari”, ma progressivamente coinvolti nelle tradizioni romane e riconosciuti dagli Imperatori d’Oriente. A Ravenna le tradizioni, la cultura e il diritto romano non scomparirono, perché i nuovi governanti apprezzarono i principi di vita della romanità classica come le difese sicure, l’amministrazione efficiente, l’applicazione della legge scritta e una moneta affidabile. Ravenna conservò in Italia più a lungo le tradizioni della romanità ed i territori ad essa circostanti vennero definiti con termini (da cui l’attuale Romagna) che ne testimoniavano la continuità morale.

Ravenna capitale attirò non solo forze armate, ma anche più confessioni cristiane ed ebraiche, nel rispetto generale, uomini colti per scrivere e conservare documenti, cambiavalute, banchieri, ed anche un importante centro di studi medici. La fine dei regni romano-barbarici e la riconquista imperiale bizantina furono rese solenni, nella Basilica ravennate di San Vitale, dalle raffigurazioni dei due cortei imperiali, di Giustiniano e Teodora. Proprio il corteo di Teodora rappresentò una novità, perché, a differenza di quello delle Sante raffigurato nei mosaici di Sant’Apollinare nuovo, questo era espressione evidente del potere che Teodora aveva acquisito a Costantinopoli soprattutto essendo stata determinante a salvare il marito Giustiniano e il trono di fronte a tumulti.

Il nuovo potere bizantino in Ravenna capitale venne esercitato per circa due secoli da un Esarca, nominato dall’Imperatore d’Oriente, che assommava poteri militari e civili con ampia autonomia, che inizialmente governava tutta l’Italia, ma che, dopo l’arrivo dei Longobardi nella penisola, restrinse progressivamente i suoi domini ai territori circostanti Ravenna capitale, fino a Roma (dove l’Esarca nominava un “Duca”), attraverso l’Appennino, in quello che secoli dopo sarebbe sostanzialmente divenuto lo Stato Pontificio. L’Esarca era insediato nel Palazzo di Teodorico (di cui Sant’Apollinare Nuovo fu in origine la “Chiesa Palatina”) e comunicava in greco con Costantinopoli. Più l’Esarcato si restrinse, più crebbe il ruolo, non solo religioso, dell’Arcivescovo di Ravenna, mal tollerato da Costantinopoli.

Dal 630 gli arabi tolsero ai bizantini progressivamente il nord Africa, minacciando anche Costantinopoli. I Longobardi ampliarono le loro conquiste in Italia, fino ad occupare, non a lungo, anche Ravenna, ponendo fine all’Esarcato. Contemporaneamente a Roma crebbe il ruolo del Papa che, visto il declinare bizantino nella penisola, invocò la protezione dei franchi che culminò con Carlo Magno e la nascita del nuovo “sacro romano impero”. Ma il ruolo culturale e morale di Ravenna in Europa era stato cosi elevato, che Carlo Magno volle costruire (anche con marmi sottratti a Ravenna), nella sua nuova capitale, Aquisgrana, una chiesa a pianta ottagonale similissima a San Vitale.