"Quante battaglie in tribunale Ma non chiamatemi avvocata"

Francesca Montanari, iscritta all’albo dal 1953: "A Palazzo di giustizia non c’era nemmeno un giudice donna"

di Carlo Raggi

L’infanzia (e poi l’adolescenza) l’ha trascorsa a cavallo del passaggio del fronte a San Pancrazio, nella casa di campagna della famiglia, isola indenne dalle violenze; a quattro anni leggeva e scriveva, a 21 anni andava all’università a Bologna con la 750 Abarth. Laurea in giurisprudenza e nel 1969 Francesca Montanari si iscrisse all’albo degli avvocati anche se il padre, avvocato e politico, glielo aveva sconsigliato. Specializzata in diritto di famiglia, Francesca Montanari ha condotto in porto le separazioni e i divorzi della Ravenna bene, ma non solo. Convinta sostenitrice dei diritti delle donne, rifiuta la declinazione al femminile dei titoli, si vanta di essere ‘avvocato’, e ancora oggi gestisce con brio ("La femminilità è un’arma da usare") uno studio fra i più risalenti di Ravenna, testimone preziosa delle dinamiche dei costumi della società.

Mezzo secolo di attività!

"Che effetto sentire quella parola, secolo. Già, sono iscritta da 53 anni, dicembre 1969. Tant’è che tre anni fa ho avuto la Toga d’oro. Dico subito che una volta scoperto, il diritto di famiglia fu il fronte che più mi appassionò. E mi sono anche divertita: ho potuto fare ciò che mi piaceva".

Perché appassionante?

"Perché si è costantemente a contatto con l’essere umano, le sue debolezze, i desideri, le passioni, i sentimenti. Visti dal lato maschile e da quello femminile. Poi il diritto di famiglia è a metà strada fra civile e penale. All’inizio ho fatto anche penale, incidenti stradali soprattutto, ma non mi entusiasmavano…e in più non avrei mai potuto difendere certi assassini odierni! Penso a chi uccide, magari a bastonate, la moglie".

Francesca, quante donne avvocato c’erano 53 anni fa?

"Eravamo in tre iscritte all’albo: io, Maria Grazia Vantangoli e Paola Pepi. E naturalmente non c’era alcun giudice donna, a Ravenna. Le prime, nelle grandi città, erano entrate in magistratura da pochi anni. E grazie per avermi definito avvocato. Avvocatessa mi fa ridere, avvocata è un delirio, come tutte le declinazioni al femminile dei titoli. I titoli istituzionali valgono per uomo e donna, hanno un valore neutro".

Donna, ma non femminista?

"Parità di diritti, certo, ma per carità abbasso gli eccessi. Aborro le quote rosa, non sono un Panda da preservare, non sono queste le rivendicazioni da sostenere. Le persone vanno valutate per i meriti. Tanto per dire, all’inizio fui iscritta anche a Linea Rosa, ma poi mi sono dimessa. Senta, se io avessi dato retta a mio padre, non avrei fatto l’avvocato perché lui diceva che era una professione pesante e non adatta alla donna. Insegna, mi diceva. E invece, eccomi qua…e oggi le donne in avvocatura sono tantissime. Dirò di più, ritengo che la femminilità sia un’arma da utilizzare".

Un padre all’antica, ma illuminato visto che non ha avuto nulla da eccepire alla sua scelta! Mi parli della famiglia.

"Una famiglia di possidenti, a cominciare dal bisnonno paterno. Avevano poderi e case a San Pancrazio, dove ho abitato fino al 1950, a Pezzolo, Russi, Santerno. Il babbo, Luigi, tornato in Italia dopo una non felice esperienza imprenditoriale in Africa nel ’35, si laureò in giurisprudenza e cominciò ad esercitare la professione di avvocato. Nel dopoguerra fu eletto in consiglio provinciale nelle file del Partito Liberale. Era un uomo di grande cultura, uno storico del Risorgimento, grande studioso di Luigi Carlo Farini. Fu anche presidente della Pro Loco russiana. La sua immensa biblioteca l’abbiamo donata al Comune di Russi e la città gli ha intitolato una sala e un parco".

Al passaggio del fronte lei aveva quattro anni. Che ricordi ha? "Nessuno perché la nostra casa a San Pancrazio è sempre rimasta indenne da occupazione militare o qualsiasi atto bellico. E c’era sempre di tutto da mangiare. Ma ricordo anche che a quattro anni sapevo già leggere e scrivere. E ci credo, mi facevano scuola mamma Clelia, il babbo, lo zio Cesare che era medico e la zia che era maestra".

Poi il trasferimento a Ravenna. "I nonni e il babbo comperarono due case affiancate qui in via Maroncelli, dove da allora abito. Quando arrivai qui, a dieci anni, stavano piantando i platani e sistemando la strada. Ricordo che era affiorato un vecchissimo cimitero e io giocavo con le ossa. A lato del viale della Stazione a maggio arrivavano le giostre".

Con il padre avvocato, la scelta universitaria era pressoché obbligata.

"E invece no, ero incerta fra legge e medicina, visto lo zio Cesare. Poi optai per giurisprudenza e pensi che a Bologna ci andavo spesso con la 750 Abarth lungo la San Vitale. Ho preso anche qualche multa. Appena laureata, in procedura penale con Achille Melchionda, era il 1966, seguii in parte il consiglio del babbo, presi l’abilitazione e cominciai a insegnare, ai geometri a Faenza e all’Itis a Ravenna. Ma intanto al pomeriggio andavo in studio…e mi convinsi che quello era il mio mondo".

In quel mondo, lei poi optò per il diritto di famiglia.

"Era il 1970, curai la pratica di separazione per un’amica e fu la scintilla. Approfondii la materia e da allora non ho più abbandonato questo fronte. In 50 e più anni sono passati dal mio studio fior di professionisti, industriali, la borghesia ravennate, ma anche operai. Più uomini che donne".

A dicembre arrivò il divorzio.

"Una materia nuova, arrivavano persone separate da anni, con il coniuge addirittura emigrato. Sempre nel 1970 mi sposai e nel 1974 nacque Francesco e io feci le pratiche presso la Corte d’Appello perché oltre al cognome del padre, Guerrini, portasse anche il mio, Montanari".

Cosa è cambiato, da quel 1970, nei comportamenti dei coniugi?

"In quegli anni, mediamente, all’uomo non interessavano i figli, che stessero poi con la madre. Negli ultimi vent’anni l’atteggiamento è ben cambiato, l’uomo vuole essere padre, tant’è che ormai da tempo si opta per l’affidamento congiunto. Ma non sono tutte rose…"

Nel senso?

"Rispetto a cinquant’anni fa, la donna ha fatto passi da gigante, rendendosi autonoma... Ma accanto alla presa di coscienza dei propri diritti, a differenza dell’uomo è capace di essere vendicativa, feroce e incrinare i rapporti e così assisto a casi in cui i figli in affidamento congiunto chiedono poi di essere affidati esclusivamente al padre".

Nelle separazioni è ancora frequente il ricorso all’investigatore per le prove della colpa?

"Ma oggi non c’è più bisogno. Ci sono uomini e donne che postano le foto dell’amante. Devo comunque dire che da diverso tempo i giudici tendono a sentenze senza addebito, come tecnicamente si dice. Di certo oggi la donna pretende molto di più dal punto di vista economico, ma il tribunale è sempre più attento alle valutazioni e soprattutto accade anche che sia la donna a dover staccare l’assegno per l’ex marito".

Alle separazioni e ai divorzi si aggiunge oggi la fine delle convivenze di fatto disciplinate dalla legge Cirinnà…

"Sì, ho clienti fra i 30 e i 40 anni che appartengono a questa categoria, anche se nessuno ha approfittato della legge per l’iscrizione nell’apposito registro. Coppie di fatto erano e tali sono rimaste e dall’avvocato vanno solo per tutelare i figli non ancora maggiorenni".