"Raccontiamo la Terra avvelenata dall’uomo"

Lo spettacolo ’Madre’ debutta oggi al teatro Alighieri, grazie all’unione tra l’attrice Montanari, il pittore Ricci e il compositore Roccato

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Fa il suo debutto, alla nuova Stagione dei teatri, lo spettacolo ‘Madre’, nato dall’incontro fra l’attrice e autrice Ermanna Montanari, il pittore e illustratore Stefano Ricci e il compositore e contrabbassista solita Daniele Roccato. A scrivere per loro il poemetto scenico, Marco Martinelli. Un lavoro di circa un’ora, nato durante il lockdown, che è anche una riflessione sul periodo difficile ed emblematico che stiamo vivendo. Quattro le repliche al teatro Alighieri di Ravenna, in programma da oggi al 28 novembre, con inizio alle 21, tranne domenica (quando sarà alle 15.30). Da segnalare inoltre che, fino a domenica, alla galleria Monogao 21 di via Alberoni 5, sarà possibile ammirare la mostra ‘Madre’ di Ricci. Sabato sarà invece presentato il libro ‘Il teatro nel cinema’ di Laura Mariani (ore 17) e proiettato il film di Marco Martinelli ‘ER’ (ore 18).

Ermanna Montanari, di cosa parla ‘Madre’?

"È la storia di un figlio e di una mamma contadina. Lei è caduta dentro un pozzo, non si sa bene se per disattenzione, follia o scelta. Lui prima la sgrida, poi va a cercare gli strumenti, argani e moschetti, tubi di ferro e carrucole: la ‘tecnologia’ per tirarla fuori. Lei, nel fondo di quel pozzo che pare infinito, confessa di non avere paura, di non sentirsi a disagio".

Lo spettacolo non è un dialogo fra i due, ma un dittico, composto da due monologhi…

"Esattamente. E da quel paesaggio isolato si staglia l’allegoria di una ‘Madre Terra’ sempre più avvelenata, l’incubo di una ‘tecnologia’ che, anziché aiutare con discrezione l’umanità, si pone come arrogante e distruttrice, capace di devastare equilibri millenari. Nell’intarsio del testo, tra italiano e dialetto romagnolo, emergono due figure in bilico fra la realtà cruda dei nostri giorni e i simboli di un futuro minaccioso e indecifrabile".

Cosa c’è di sbagliato nel modo di affrontare la situazione attuale?

"Non c’è bisogno di slogan, tipo quello che si ripeteva all’inizio della pandemia, ‘andrà tutto bene’, che esprime una grande cecità, ossia l’incapacità di accettare il pericolo e l’indecifrabile. Oggi più che mai serve recuperare il senso del sacro e la capacità di condividere in modo comunitario quanto sta accadendo. Peccato che la riunione sul clima sia stato un fallimento e che le verità di Greta Thunberg non siano state ascoltate".

Tornando al teatro, com’è riuscita la fusione fra voi artisti?

"In scena, voce, suoni e disegni hanno pari dignità e si completano a vicenda. Il pozzo-pianeta è rappresentato in verticale e orizzontale e anche i fogli su cui disegna Ricci sono rotondi e neri, un’emersione dal buio, un barlume di luce e speranza".

L’avvio rappresenta in qualche modo l’inizio della Terra…

"Sì, tutto parte dal segno di un gessetto bianco che porta con sé un suono. Esattamente come molti popoli hanno immaginato l’inizio della vita. Noi siamo strumenti della Terra, non personaggi".

Durante il lockdown sono nati anche il film ‘ER’ e la scuola di vocalità Malagola.

"Noi artisti abbiamo lavorato tantissimo. Non ci si ferma davanti alle difficoltà o alle guerre: è il ‘contagio’ della bellezza".

Roberta Bezzi