"Rapina sì, ma non vi fu tentativo di stupro"

In appello pena dimezzata per un 30enne lughese accusato dell’aggressione a una giovane in autostazione: cade l’accusa principale

"Rapina sì, ma non vi fu tentativo di stupro"

La giovane aveva denunciato l’episodio ai carabinieri (foto repertorio)

La rapina fu consumata, ma non la violenza sessuale. E la condanna dell’imputato scende così da 4 anni e 2 mesi a 2 anni e 4 mesi, dopo che l’accusa principale è decaduta. Praticamente si dimezza. È una decisione di peso quella assunta dai giudici della Corte d’appello di Bologna sul caso del presunto stupro all’autostazione di Lugo, per il quale lo scorso anno era finito in carcere e poi ai domiciliari un 30enne lughese. L’uomo era stato condannato in primo grado per entrambi i reati, sebbene la vittima, ricostruendo i fatti, fosse incorsa in numerose contraddizioni. Un aspetto, questo, sulla quale in appello è tornato a fare leva il legale difensore dell’imputato, l’avvocato Alessandra Venturi.

Ai carabinieri la giovane – tutelata come parte civile dall’avvocato Andrea Valentinotti – aveva riferito di essere stata avvicinata alle spalle mentre, nella notte tra il 9 e 10 gennaio 2023, si trovava su una panchina dell’autostazione di Lugo. Il suo aggressore, stando alla denuncia iniziale, l’avrebbe quindi strattonata, tirata per i capelli facendola finire a terra, tentando un approccio sessuale violento. Riuscito a spogliarla parzialmente, lei aveva reagito riuscendo a scappare. Dal canto suo il 30enne, che fu fermato poco dopo, ha sempre negato la violenza, ammettendo solo di avere derubato la donna del cellulare che aveva preso dalla sua borsa. La donna aveva riferito di essere arrivata in autostazione con una corriera da Imola, ma emerse che non vi erano arrivi compatibili con quell’orario tardo, così già pochi giorni dopo corresse il tiro precisando di essere stata accompagnata da un amico del fidanzato, persona mai vista prima e mai più rintracciata.

Sulla dinamica del controverso atto sessuale, prima disse di essere stata buttata a terra, poi in tribunale spiegò di non essere caduta, al più di essersi piegata mentre lui le tirava i capelli per indurla ad un rapporto orale. Per poi introdurre un elemento fin lì inedito, il fatto che l’uomo le avrebbe infilato una mano tra le mutande. Non solo: inizialmente disse che lei era scappata da una parte e lui dall’altra, salvo poi ritrovarselo alle calcagna. La donna trovò poi rifugio nella macchina di una passante, alla quale riferì solo di essere stata rapinata del cellulare, ma non disse nulla in merito al tentativo di stupro subìto. In ragione di ciò, la Procura dispose accertamenti sui tabulati telefonici della scheda in uso alla giovane. Una scheda che, a sentire lei, sarebbe passata da più mani. Il numero che aveva in uso, infatti, compariva su chat erotiche on line. La donna disse di avere prestato in precedenza il cellulare a un’amica che si prostituiva, previo invito a non rispondere a chiamate private. Eppure il numero sulle chat era già presente a luglio 2022 e lo sarebbe stato anche successivamente ai fatti contestati.

Tutto ciò non bastò a evitare in primo grado, all’imputato lughese, la condanna anche per il reato più infamante. La corte d’appello ha rivisto la decisione, mentre la Procura generale chiedeva la conferma della pena inflitta in primo grado.

Lorenzo Priviato