Reda, campi distrutti Interi appezzamenti ricoperti di melma "È una catastrofe"

Tra Pieve Corleto e Prada gli agricoltori temono malattie per le piante e asfissia delle radici. "Non sappiamo neanche da dove iniziare a lavorare".

Reda, campi distrutti  Interi appezzamenti  ricoperti di melma  "È una catastrofe"

Reda, campi distrutti Interi appezzamenti ricoperti di melma "È una catastrofe"

Il marrone e il verde. Una cesura netta, come netta è quella tra il prima e il dopo. Nella campagna primaverile in fiore l’alluvione è passata come un tornado. E sebbene sia trascorsa una settimana dai giorni maledetti in cui si sono allagati i campi attorno a Reda, tra Pieve Corleto e Prada, in certe zone l’acqua nei fossi è ancora alta, le strade sono lastricate di fango e nei campi c’è ancora una melma liquida che non permette di entrare.

"Siamo troppi, è una catastrofe troppo grande. Chissà se riusciranno a dare degli aiuti. Noi non sappiamo neanche da dove iniziare a lavorare: una cosa così non si era mai vista" dice Alma Lega, che ieri mattina era insieme alle figlie nel terreno di famiglia in via Prati. La zona è tra le più colpite: "L’autostrada ha fatto da sponda, è più alta dei terreni e quindi l’acqua da lì non usciva e si è fermata tutta qui – dice –. Guardi il segno lasciato dall’acqua sul casolare: l’abbiamo misurato, è 1 metro e 75". Il lavoro è così tanto che non si sa da dove iniziare. Il terreno è ancora grigio e pastoso di melma, non c’è traccia di verde. I campi di mais sono stati letteralmente spazzati via, sostituiti da distese di niente da cui sbucano piantine in pessimo stato. Sui frutteti ovunque si legge il segno del passaggio dell’acqua: le foglie sono coperte di fango in basso, mentre in alto sono verdissime. "Ma le foglie dei nostri peschi stanno cadendo – aggiunge Lega –. È una tragedia ovunque, ma vedere le piante che muoiono, che chissà quando si riprenderanno... Il grano sembra in forma, speriamo che tenga". Di certo non l’orto di famiglia, di cui restano solo i paletti di legno piantati per sostenere le piantine di pomodoro. Ma di pomodori e patate non c’è più traccia: tutto quello che era coltivato è stato spazzato via. "Pensi a che forza che aveva quest’acqua – aggiunge Lega –. Ha portato una botte da 150 quintali di vino vicino all’autostrada. Non si sa da dove venga, si è andata ad appoggiare al guard rail". Allo stesso modo, sparpagliati in giro per tutta l’area, ci sono balle di paglia trascinate qua e là dall’acqua, che qui è uscita perlopiù dal rio Cosina. Ad aiutare la famiglia Cicognani c’è Oliviero Bandini: "Casa mia è l’unica in tutta la zona a non essersi allagata, siamo stati fortunatissimi. Per il resto ovunque è un disastro".

Ci sono zone più verdi e altre che sembrano un campo di battaglia. Tra le situazioni più critiche c’è quella di Prada, dove ha svegliato il Cer. La potenza dell’acqua ha addirittura spaccato la provinciale Corleto nel punto in cui il canale la attraversava sotto terra. Alle sue spalle c’è via Podestà, stretta viuzza tra i campi su cui l’alluvione si è riversata i modo estremamente violento. La carreggiata è coperta da terra ormai asciutta, al punto che sembra di passare in una strada non asfaltata. Qui si trova anche un’allevamento da 1.000 maiali, buona parte dei quali morti e altri fuggiti.

Lo scenario agricolo è da devastazione: campi di mais azzerati e frutteti per metà marroni. Ciò che tanti si chiedono è se quelle piante sopravviveranno. "Siamo abituati a sventolare i kiwi durante la fioritura per impollinarli meglio, ma non possiamo farlo come si deve ora – dice Fabio Mazzotti –. I rami qui sono rimasti a mollo per 1718 ore, col rischio che prendano funghi o batteriosi di varie tipologie". Mazzotti cammina lungo la strada mentre passa in rassegna i suoi 36 ettari di terreno, rimasti sotto quasi un metro e mezzo di acqua per ore e ore. "I peschi rischiano anche quelli per la batteriosi – dice – e lo stesso vale per le viti, che erano ricoperte del tutto. Lo vede, dove c’è il marrone sulle foglie? E poi c’è il problema dell’asfissia radicale".

Il terreno, del resto, è del tutto ricoperto dalla stessa poltiglia marrone, la stessa che in molti punti ha chiuso quasi completamente i fossi: "Questo è limo e argilla, sono cellule talmente fini che non fanno passare l’acqua e sigillano le radici. Questa è la roba che mettono in fondo ai laghi perché non se ne vada l’acqua". Ovunque chi può è già al lavoro: liberare i fossi, vigilare sulle piante. E poi, in un secondo momento, nutrirle. Ma questa terra di agricoltori operosi per rialzarsi avrà bisogno di un sostegno.

Sara Servadei