Respinto il ricorso dell’azienda "Il lavoratore resti al suo posto"

La storia di Nicola Carnicella. Una società del polo chimico l’ha licenziato due volte ma il giudice lo ha reintegrato in quanto "si trattava di provvedimenti discriminatori legati alla sua attività sindacale"

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di Andrea Colombari

Due licenziamenti di "natura discriminatoria" legati alla sua "attività sindacale" erano naufragati il 24 maggio scorso nell’ordinanza con la quale il giudice del lavoro Dario Bernardi ne aveva disposto il reintegro. Lo stesso giudice, con sentenza appena depositata, ha ora respinto, perché ritenuto "infondato", il ricorso con cui la società - la Cray Valley Italia srl, nota azienda del settore chimico in via Baiona – aveva poi chiesto che il lavoratore non venisse affatto reintegrato. "Non si tratta di mettere in fila due infrazioni bagatellari pur che sia – si legge tra l’altro nella sentenza – essendo il contratto nazionale di lavoro inequivoco circa la ‘gravità’ delle infrazioni" alla base di un licenziamento per giusta causa. L’azienda dovrà così rimborsargli circa 8.600 euro di spese di lite.

Protagonista del singolare caso giuslavoristico è Nicola Carnicella, lavoratore in forza dal febbraio 2007 alla srl in questione, dal 2011 capo turno e nella rsu, la rappresentanza sindacale unitaria, della Cisl oltre che vicepresidente del consiglio territoriale di Piangipane dal 2017 e membro del comitato operativo di Lista per Ravenna. "È la terza volta che il tribunale mi dà ragione", ha precisato soddisfatto il lavoratore. A suo avviso "l’accanimento deriva da due comunicati in tema, tra le altre cose, di sicurezza. La segreteria Femca Cisl ha anche evidenziato la situazione a tre vertici Total, che però hanno glissato. Non è possibile che nel 2022 un rappresentante sindacale debba subire ritorsioni da parte del datore di lavoro perché svolge le sue funzioni sindacali. Spero che anche le associazioni di categoria e gli altri sindacati che operano nel petrolchimico, oltre ai direttori interni allo stabilimento, prendano posizione sui fatti che mi hanno visto coinvolto". I due licenziamenti erano scattati nel 2021 (il 9 agosto e il 7 settembre) ma, come aveva annotato il giudice nell’ordinanza con cui lo aveva reintegrato – motivazioni ribadite integralmente nella nuova sentenza -, tra il lavoratore e l’azienda c’era già stato un passaggio in tribunale risoltosi a favore del primo: il 29 marzo scorso sempre la sezione Lavoro aveva stabilito che una sanzione di due giorni di sospensione era "illegittima e quindi da annullarsi". In quel contesto il lavoratore, tutelato dagli avvocati Elisa Salerno e Barbara Grassi, era stato pure demansionato per tre anni, pur senza "alcun danno patrimoniale".

Dopo essere stato reintegrato, tempo giusto alcuni mesi ed era stato licenziato per giusta causa. Il conseguente ricorso (con rito Fornero) era stato accolto. Tra le altre cose il giudice, nel tentare di spiegare l’origine della "natura discriminatoria" dei provvedimenti adottati, era tornato indietro fino al marzo 2017 quando il lavoratore, "quale rsu, e il legale rappresentante" dell’azienda "entravano in fortissimo contrasto" sfociato in una mail netta: "Speravo fosse un pesce di aprile. Il comunicato è pieno di falsità e chi lo firmerà ne pagherà le ovvie conseguenze (...)". E ancora: "Basta solo attendere che un minimo di formazione dei nuovi ct sia formalizzata". Una situazione che, sempre per Bernardi, "si ebbe a realizzare con la sostituzione del ricorrente, demansionato, con un collega appena formato". Dopo quasi un mese dall’ordinanza di reintegro, il lavoratore era tornato al suo posto. Poco dopo l’azienda si era opposta con i risultati che ora conosciamo.