Ricerche sui vitigni resistenti, la sperimentazione si farà a Tebano

I campi del neonato consorzio Vitires saranno al Polo faentino: già testati 700 incroci

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Avranno sede nel Polo vitivinicolo di Tebano i campi sperimentali dove il neonato consorzio Vitires metterà a punto varietà di viti più resistenti alle principali patologie. Qui Cantine Riunite & Civ, Caviro, Terre Cevico, la Cantina Sociale di San Martino in Rio e il Centro di ricerche Ri.Nova hanno deciso di unire le forze per fare sì che i vitigni autoctoni della regione possano sviluppare varietà resistenti in particolare alle patologie fungine, come l’oidio e la peronospora. Sedici i vitigni autoctoni al centro delle sperimentazioni: da quelli più diffusi come albana, trebbiano e sangiovese, per arrivare al pignoletto, ai vari tipi di lambrusco, fino al terrano.

"L’obiettivo", spiega il presidente di Vitires, Marco Nannetti – membro in quota Cevico del cda, dove è affiancato da esponenti di ciascuna delle altre quattro realtà che compongono il consorzio – "è coordinare ed ampliare programmi di ricerca e sperimentazione riguardanti lo studio, la selezione, il miglioramento genetico e varietale di vitigni locali e autoctoni dell’Emilia-Romagna, al fine di ottenerne cloni e fenotipi resistenti alle malattie fungine". Sono già più di settecento gli incroci eseguiti, per i quali sono in corso di valutazione la resistenza ai patogeni, l’adattabilità all’ambiente emiliano-romagnolo, e ovviamente le potenzialità enologiche. In caso di responsi positivi, Vitires collaborerà con i vivaisti "per programmi pluriennali comuni di coltivazione, e si occuperà delle procedure per l’iscrizione al Registro nazionale e Regionale delle varietà di vite, della messa a punto di disciplinari di coltivazione, della produzione e trasformazione delle uve, nonché della tutela dei produttori tramite licenze, marchi d’impresa e attività di vigilanza e verifica contro pratiche commerciali sleali".

Nel mondo dei viticoltori una domanda si agita come uno spettro da più di un secolo: potrà mai esserci una nuova epidemia come quella causata dalla fillossera, che nella seconda metà dell’Ottocento mise a rischio la sopravvivenza della specie? "Fare previsioni è impossibile: le minacce certo non mancano", entra nel dettaglio Nannetti. "Basti pensare che la flavescenza dorata, pur con l’adozione di tutti gli accorgimenti messi a disposizione dalla scienza, in alcune nostre aree in Emilia e in Veneto ha colpito il 20% delle viti, facendole seccare. Lo ripeto: il 20%, una percentuale enorme. Senza tecniche agronomiche disponibili ci saremmo trovati davanti ad un cataclisma". Un secolo e mezzo fa a salvare la gran parte dei vitigni europei dall’estinzione fu il loro innesto su viti americane. Centocinquant’anni dopo, a essere decisivo "sarà il farsi trovare pronti con varietà capaci di reagire alle patologie", conclude Nannetti, "a maggior ragione considerando che le norme europee ci impongono di ridurre della metà, entro il 2030, i principi attivi utilizzati nei campi. In futuro, oltre a funghi come l’oidio o la peronospora, le minacce arriveranno soprattutto da siccità e insetti, molti dei quali proprio grazie al cambiamento climatico troveranno un ambiente a loro più favorevole. Per questo è fondamentale avere a disposizione varietà sempre più resistenti".

Filippo Donati