Ripartono gli artisti di Kiev: "Grazie Ravenna"

Dopo cento giorni e 50 concerti tornano in patria i profughi ospitati dalla missione umanitaria: "Un’amicizia che resterà indelebile"

Migration

Cento giorni e cinquanta concerti. Finisce oggi ed è stato un soggiorno non certo da profughi, ma da professionisti impegnati a raccogliere denaro da inviare a casa, quello degli artisti del teatro di Kiev, arrivati a Ravenna il 6 ottobre grazie alla missione umanitaria guidata da Maria Cristina Muti. Erano arrivati in sessanta con questo obiettivo, aiutare la patria usando le armi loro più congeniali: la musica, il ballo, il canto. L’arte. Alcuni sono già partiti. I ballerini sono in tournée in Giappone e domattina anche i 27 componenti del coro lasceranno la nostra città, dopo l’ultima esibizione di mercoledì sera al Museo Nazionale ai “concerti delle 7“ del Ravenna Festival. Sono passati più di tre mesi ma Bogdan Plish, direttore del Coro dell’Opera Nazionale d’Ucraina, ancora si commuove ricordando l’abbraccio con Cristina Muti alla stazione polacca di Przemysl, punto di incontro con la missione partita da Ravenna.

Che ricordo ha di quel giorno?

"I sentimenti erano contrastanti. Arrivando alla frontiera da Kiev avevamo attraversato tutta l’Ucraina. E piangevamo per questa ingiustizia, dovere lasciare la nostra patria perché i barbari vogliono distruggerla. Una volta a Ravenna, ogni immagine ci riportava là con la mente: la mamma con un bambino ti faceva pensare ai bambini che da noi stavano morendo sotto le bombe. Allo stesso tempo, il ritrovo con gli amici di Ravenna fu molto commovente. Quando abbracciai Cristina entrambi ci mettemmo a piangere. Mi tornò in mente una canzone che dice “proteggimi con la tua ala e dammi il tuo calore“. E mi chiedevo: com’è possibile che persone che non conosci ti diano tanto calore, mentre altre vogliono sterminarti? Mi sentivo anche un po’ in colpa: aiutano proprio me, pensavo, quando altri forse avrebbero più bisogno".

Con quale spirito tornate a Kiev, sapendola ancora a rischio assedio?

"Abbiamo capito che la paura non può fermare la vita. Ciascuno di noi sa che bisogna andare avanti. Arriveremo il 25 mattina, lunedì, e dal 26 saremo già al lavoro. Il teatro a Kiev ha una capienza di 1450 posti, ma sarà ridotta a 350 che è il numero di spettatori della platea nel bunker, dove scendiamo in caso di allarme aereo. Molti stanno tornado a casa e con una certa gioia".

In questi mesi cosa avete fatto?

"Sono stati cento giorni molto intensi. Siamo stati a Venezia, a Lourdes e Loreto col maestro Muti, dove il pubblico si è commosso ascoltando i brani della nostra tradizione. L’impegno maggiore è stato col Ravenna Festival a Ravenna, con concerti ma anche messe per ringraziare i ravennati che ci hanno accolto con tanto calore. Dal 6 aprile abbiamo eseguito cinquanta concerti e abbiamo dovuto rifiutare offerte da Roma e Milano".

Cosa vi rimarrà di Ravenna?

"Il rapporto professionale c’era dai tempi del Concerto dell’amicizia del 2018 a Kiev, ma ora è nato qualcosa di più importante, vere e proprie amicizie che il tempo e la distanza non cancelleranno mai".

Tornate a Kiev con la speranza di non dovere mai più espatriare per necessità.

"Quando incontrai in stazione Cristina le dissi che ero felice perché dietro al progetto delle Vie dell’amicizia c’era un sentimento vero, di chi cerca di portare la pace nel mondo con l’arte. Proprio all’ultimo concerto Cristina ci ha detto che, appena finisce la guerra, tornerà a Kiev".

Cosa le è piaciuto di più di Ravenna?

"Sarebbe superfluo parlare della bellezza della città e dei suoi monumenti ed è difficile selezionarne uno. La cosa che di certo mi porterò dentro è il calore delle persone che hanno aperto il cuore e ci hanno accolti, che venivano ai concerti e si commuovevano".

Lorenzo Priviato