"Risollevammo la città dopo il crac Ferruzzi"

Vidmer Mercatali ripercorre la sua vita, dall’infanzia contadina alla politica negli anni più duri: "Puntammo tutto su turismo e cultura"

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La storia della sua famiglia è uno spaccato del processo sociale della Romagna a metà ‘900: coloni senza futuro in alta collina, la ricerca di una vita migliore come mezzadri in pianura e infine gli investimenti al mare. Lui è Vidmer Mercatali che da bimbo l’esperienza mezzadrile dei genitori l’ha vissuta tutta, poi una lunga gavetta, studio, lavoro, l’approdo al Partito comunista sulla scia del nonno la cui tessera datava gennaio 1921. Segretario della sezione di Milano Marittima, consigliere e assessore provinciale a fine anni 70 poi assessore e braccio destro del sindaco Paolo D’Attorre (da cui prenderà il testimone alla sua morte), nei momenti più bui per l’economia cittadina. Traghettatore del Pci verso il Pds, due mandati da sindaco, fino al 2006, quando la città, grazie anche ai monumenti Unesco, aveva riconquistato lo scenario internazionale evaporato con la crisi Ferruzzi, poi l’esperienza da senatore, cesellatore della riforma dei vitalizi. Dal 2013 si è ritirato dalla scena pubblica. "Cosa faccio? Una mano al Pd di San Pietro in Campiano e durante l’epidemia ho portato la spesa agli anziani del paese".

Ci conosciamo da trent’anni, la sua schiettezza è proverbiale. Dove si è modellata?

"Crescendo con nonno Giacomo che prese la tessera del Pci alla fondazione del partito 101 anni fa, andando a distribuire l’Unità e Vie Nuove col babbo, nei primi anni Cinquanta, frequentando la parrocchia e la casa del popolo, a Massa Forese".

Lei però non è nato a Massa!

"No, sono nato a Villa Rotta di Forlì. I miei, babbo Bruno e mamma Iolanda, erano venuti giù da Predappio dove la povertà degenerava in miseria e avevano preso un grande podere a mezzadria. La nostra era una famiglia larga, quasi una ventina di persone, che nel ’54 si divise: avevo 5 anni e ci spostammo a Massa Forese, la mia Macondo… In un podere più piccolo".

Un periodo illuminante.

"Esattamente. Un’adolescenza indimenticabile, ero innamorato di nonno Giacomo e nonna Maria, lui mi raccontava della guerra, del fascismo, della resistenza. Dopo le elementari andai all’Avviamento a Forlì. Frequentavo i Salesiani e stavo col nonno materno, gran fascista".

E dopo l’Avviamento?

"L’Iti, sempre a Forlì; mi diplomai nel ’69, poi mi iscrissi all’università, geologia. Ma dovetti abbandonare perché nel ’71 mi ero sposato con Loretta e nel giro di poco nacquero Alessandro e poi due gemelle, Silvia e Francesca. Dovevo lavorare"

Racconti.

"Cominciai con l’aiutare i miei che nel ’69 avevano preso in affitto una latteria-gelateria a Milano Marittima, e poi un albergo… Si vede l’evoluzione sociale di quel periodo: povertà sui monti, mezzadria in pianura, poi il salto in riviera. Sa che babbo e mamma sono vissuti fino a pochi mesi fa, ultranovantenni? Sono morti di Covid. Da giovane ho fatto anche il muratore e il portiere di notte d’albergo. Poi fui assunto in Comune".

Un lavoro che fu anche una gavetta per i suoi ruoli futuri.

"Nel ’72 mi iscrissi al Pci e divenni segretario della sezione della borghesissima Milano Marittima. Pensi che mi fu sponsor il nonno di Michele de Pascale. Poi nel ’73 entrai nella segreteria del sindaco Rosetti e alla fine del decennio fui candidato per il Pci al consiglio provinciale. Al primo comizio, a Lavezzola, ero tremante, mi presentò lo storico sindaco di Conselice, Nerio Cocchi. La piazza era gremita"

Fu eletto e diventò assessore.

"Bilancio, personale, cultura. Era presidente Mario Li Vigni. Assessore ai lavori pubblici era Adriano Guerrini: fu lui a svelarmi i segreti della macchina pubblica. Poi ebbi ruoli nella segreteria provinciale del partito e come responsabile dell’organizzazione gestii il congresso della svolta dal Pci al Pds: fui il primo segretario comunale del nuovo partito".

Momento turbolento, il sindaco Dragoni si dimise a causa dell’inchiesta.

"Fu poi assolto, ma ne morì. Come segretario comunale decisi per le primarie, era la prima volta che si eleggeva il sindaco direttamente".

Era il giugno ’93.

"Al ballottaggio contro il repubblicano Brini, vinse Paolo D’Attorre, ‘un docente universitario che faceva anche politica’ si definì. Fu una grande campagna, dopo anni di centro sinistra il Pri era tornato avversario".

D’Attorre puntò su di lei.

"Aveva chiesto il mio aiuto, lui di macchina amministrativa non sapeva nulla. Mi nominò assessore con deleghe al personale, bilancio, polizia municipale, turismo, municipalizzate".

Arrivavano mesi turbolenti.

"Il gruppo Ferruzzi che tanto voleva dire per Ravenna era sotto inchiesta, a luglio ’93 Gardini si uccise, per la Cmc si aprì la prima grande crisi, il turismo era sotto zero per le mucillagini, l’Enichem era in crisi e quando Pier Paolo si ammalò tutto il peso finì sulle mie spalle"

All’evaporazione dei Ferruzzi, D’Attorre disse: ‘Ravenna andrà avanti con le sue gambe’.

"Ci fu la sollevazione, ma Pier Paolo aveva la vista lunga. Avevamo un programma ben preciso: puntare sul binomio turismo e cultura, sburocratizzare la macchina amministrativa".

Fu lei ad aprire le spiagge e la città di sera.

"Di più. Non solo favorii l’afflusso dei giovani a Marina e varammo ‘Ravenna bella di sera’. La parola d’ordine di D’Attorre era sprovincializzare la città, e allora cosa di meglio che avviare la procedura con l’Unesco per i monumenti ravennati patrimonio dell’umanità? Fu un en plein. E per far parlare ancora invitai il presidente della Repubblica Ciampi per l’inaugurazione dei ‘Tappeti di pietra’"

E le cittadinanze onorarie...

"Già, i personaggi illustri legati a Ravenna non mancavano: Michelangelo Antonioni, Dario Fo… Un modo per avere i riflettori sempre accesi".

Un piccolo stop temporale. Diventò sindaco nel ’97, il giorno della morte di D’Attorre.

"Il 27 aprile. Pensi che il primo discorso da sindaco fu l’elogio funebre in piazza. Poi fui riletto nel 2001, 90% di affluenza, oltre 60mila voti per me. Record, non è più accaduto, di lì a poco crollò la fiducia nella politica".

Due mandati nel corso dei quali la città è cambiata molto.

"Pensi solo alla grande cintura verde, alla trasformazione delle centrali elettriche da olio a metano, l’inquinamento atmosferico si azzerò, dopo 40 anni il litorale fu di nuovo visibile da Bertinoro! Poi i lavori per il Giubileo, il parco di Teodorico e poi Marinara, anche se non tutti sono d’accordo su questo".

Schiettezza e decisionismo, le sue caratteristiche. Ricorda cosa fece quando all’incrocio del Canalazzo morì la giovanissima Elisa Saiani?

"E come si può dimenticare quella tragedia del 2003, con i tir sulla Dir lanciati a gran velocità e che passavano col rosso. Ricorda cosa le dissi quella sera? Costi quel che costi, si fa il sottopasso. Non potevo aspettare l’Anas, proprietaria della strada e unico ente autorizzato a intervenire. Andai dal procuratore capo, Vittorio Vicini, grande persona… E lo informai di quel che avrei fatto".

E lui?

"Mi consigliò di motivare nel dettaglio la delibera, ‘salvare vite non sarà mai abuso d’ufficio’, mi disse. Tenni sempre informata l’Anas e partimmo coi lavori. In due anni ecco il sottopasso".

Poi l’elezione al Senato.

"Nel 2006 e rieletto nel 2008. Fui capogruppo del Pd alla Commissione bilancio e feci di tutto per definire la riforma dei vitalizi ai parlamentari. Me compreso, ovviamente".

Carlo Raggi