ANDREA COLOMBARI
Cronaca

San Pancrazio choc. Maxi-rissa fra i tifosi: il Tar nega la revoca dei Daspo

Respinto il ricorso di due degli otto supporter raggiunti da misure della questura comprese tra 5 e 8 anni di divieto di partecipare alle manifestazioni sportive.

I bastoni usati per l’aggressione ai tifosi durante la rissa (Foto Giampiero Corelli)

I bastoni usati per l’aggressione ai tifosi durante la rissa (Foto Giampiero Corelli)

Certe partite di calcio non finiscono mai. Come quella del 15 settembre scorso tra San Pancrazio e Bagnacavallo (prima categoria). Il campo però non è quello erboso ma quello della giustizia amministrativa. Perché a due degli otto tifosi che dopo una settimana si erano ritrovati un Daspo del questore tra le mani, il Tar ha risposto picche. Il divieto di accesso agli impianti sportivi per cinque anni, resta perché - si legge nella sentenza pubblicata venerdì scorso - "l’avere brandito minacciosamente una cintura con la mano destra" nel contesto di "violenti scontri tra opposte tifoserie", costituisce "senza dubbio alcuno un fatto di partecipazione attiva agli scontri". In attesa di eventuale ricorso al Consiglio di Stato, la partita è dunque chiusa.

Del resto il tabellino della questura era stato abbastanza netto: i Daspo, per 5 supporter del San Pancrazio e 3 del Bagnacavallo, erano stati adottati con procedura d’urgenza. In sei casi la durata era stata calmierata a cinque anni. Due invece avevano agguantato quota otto anni con contestuale obbligo di recarsi a firmare in concomitanza con le partire del San Pancrazio e del Bagnacavallo. Questi ultimi due provvedimenti erano i più pesanti perché avevano riguardato due tifosi già destinatari in passato di Daspo.

Le misure erano scattate al termine dell’istruttoria svolta dalla divisione Anticrimine sulla base dei primi accertamenti della Digos e dei carabinieri di Russi. Per la questura solo grazie al tempestivo intervento delle forze dell’ordine, le violenze e gli scontri, causati da entrambe le tifoserie, non avevano determinato conseguenze irreversibili. Basti pensare che a terra erano stati recuperati pietre, fumogeni, aste di bandiere, cinture e lucchetti per catene. Secondo il ricorso dei due tifosi, la sanzione mancava di proporzionalità perché loro non avevano "provocato né partecipato a scontri", ma si erano limitati "a difendersi da un’aggressione" della tifoseria avversaria. Come dire che il loro comportamento non manifestava né "una strategia per provocare violenza" né "un rischio concreto per l’ordine pubblico". Si erano cioè limitati a "brandire una cintura" senza che fosse stato "dimostrato che la condotta" fosse stata attiva.

Secondo la sentenza vergata dal giudice Paolo Carpentieri, "il ricorso è infondato". Nello specifico "l’ampia motivazione addotta dal questore" è "in linea con i principi che regolano la materia" e "dimostra l’efficacia di un’approfondita disamina". Ovvero "il provvedimento rappresenta il corretto esercizio del potere discrezionale".

In quanto al fatto che la questura avesse proceduto d’urgenza senza comunicare l’avvio del procedimento, la decisione è stata condivisa dal Tar: "La frequenza temporale delle manifestazioni sportive legate ai vari campionati in corso, ben può richiedere l’immediatezza del procedere" proprio per "scongiurare il ripetersi di analoghi o più gravi episodi". Anzi, "la giurisprudenza si orienta nel senso di ritenere che il Daspo non debba essere preceduto" da alcuna comunicazione. E il fatto che al momento della notifica delle misure ai tifosi, non vi fossero procedimenti aperti (un paio di mesi dopo i carabinieri hanno denunciato 9 persone per rissa in concorso), non fa venire meno i Daspo in ragione della sua "funzione preventiva".

E cioè "del tutto irrilevante" se la condotta di un tifoso abbia o meno alimentato "denunce, procedimenti o condanne in sede penale". In quanto all’azione dei due tifosi in quel pomeriggio di inizio autunno, è stata "adeguatamente provata". E il loro ruolo, "se di difesa o di attacco, andrà semmai chiarito in sede penale". Per quella amministrativa, il Daspo rimane.

Andrea Colombari