
A Sant’Agata sul Santerno non sembra passata un’alluvione, ma la guerra. L’alveo del fiume diventato maledetto è tornato a mostrare la boscaglia che ne ostruiva il corso, a due settimane dal disastro non si lotta più contro acqua e melma, ma contro il fango diventato duro come il cemento. La centralissima piazza Umberto I, inondata la notte tra 16 e 17 maggio, è lo specchio di un paese la cui ricostruzione sarà lenta e faticosa.
Il rifacimento dell’argine imploso sotto la spinta di una piena tumultuosa ha imposto la chiusura del ponte sulla San Vitale, e per raggiungere il paese occorre allungare il tragitto passando da Ca’ di Lugo. C’è polvere ovunque, cataste di rifiuti ai lati di villette ridotte a discariche, i volenterosi uomini della protezione civile della Lombardia che puliscono le strade sembrano l’unica presenza istituzionale. Il morale della popolazione, spiace constatarlo, è sotto i tacchi. I negozianti si fanno forza, ma lottano da soli, cercando di salvare quel poco rimasto. "Abbiamo chiuso gli occhi e andiamo avanti, sono due settimane che sto pulendo e non so perché, non avendo certezze di nessun tipo. Si va avanti per inerzia, finché ce le facciamo", scuote la testa Ivano Grilli, che da 26 anni gestisce il bar Centrale: "Mi sta bene che una una figura istituzionale come Mattarella venga a farsi un giro, ma qui ora servono dei soldi, non delle chiacchiere. Alla fine contano quelli, senza non si va avanti". Anche perché, osserva, si sta innescando un odioso meccanismo di mercato: "Prima l’offerta era dieci volte la domanda, ora il contrario. Provate a chiamare un libero professionista e chiedere quanto costa... Solo a Sant’Agata ci sono 700 auto da buttare via, tra cui la mia. E i prezzi delle auto sono raddoppiati".
Emblematica la vicenda di Vincenzo Comito e del cognato Orazio, che solo a gennaio avevano trasferito da Massa Lombarda il loro forno. Di questo panificio nuovo di zecca, restano macerie e macchinari da buttare. "Freezer, forno, impastatrici: non si è salvato quasi niente", spiegano i due fornai che, peraltro, la notte della fiumana erano comprensibilmente al lavoro: "Siamo rimasti intrappolati dodici ore nel negozio, ci siamo salvati salendo sopra i macchinari. La corrente era fortissima, ha divelto la vetrina e sollevato la cella, che ha sfondato il soffitto. Chi ci aiuta? Nessuno. I volontari, loro sì, ci hanno dato una grande mano i primi giorni. L’assicurazione si è fatta di nebbia. Ma se non arriva una spinta economica, immediata o quasi, ripartire sarà impossibile".
Sebbene in un contesto tragico e di distruzione, la sorte si è mostrata almeno in parte clemente con la Farmacia Rossi: il sabato prima del disastro, in previsione di un cambio di arredi, avevano svuotato quasi tutto. "La farmacia era chiusa e quasi vuota – spiega il titolare Enrico Contarini –, ma è tutto da pulire, l’impianto elettrico da rifare. La corrente ha strappato via la vetrata infrangibile: per spostarla eravamo in cinque. Tempi di riapertura non so quantificarli. Forse un mese, ma conta poco se attorno non c’è più nulla. Ciò che mi preoccupa sono le condizioni del paese, per molti sarà lunga tornare alla normalità".
Per il momento la farmacia Rossi, dalla sede di Lugo, mette a disposizione della popolazione i medicinali che vengono distribuiti presso il campo base di protezione civile allestito in centro, dove è presente anche un punto ristoro della Barilla. "Non c’è più nulla, nemmeno un bar in cui prendere un caffè, quindi proviamo a restituire a queste persone un senso di normalità", dice un volontario arrivato da Milano. Se il privato se la passa male, il pubblico non è certo in salute. All’ufficio postale hanno iniziato a pulire l’altro giorno. Per più di dieci giorni arredi, uffici e schedari sono rimasti sommersi dal fango. "È tutto da buttare, qui l’acqua ha raggiunto i due metri".
Lorenzo Priviato