Schianto con alcol 4 volte il limite Assolto: "Non lo hanno informato"

Un 44enne, di ritorno da una sagra alticcio, si ritrovò in ospedale dopo che con l’auto era finito in una scarpata. Prelievo ematico inutilizzabile: non era stato avvertito di potersi avvalere di un avvocato

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Solo una birretta quella sera, ma lo dicono tutti. E invece le analisi per quell’automobilista – un 44enne ravennate - avevano restituito un robusto 2.24, ovvero quasi quattro volte e mezzo il limite fissato dalle legge (0.50) per mettersi al volante. Un livello di alcolemia che in modo matematico porta con sé il seguente pacchetto di sventure: revoca della patente, confisca del mezzo e condanna penale. Anzi, quasi matematico: perché il caso in questione ha rappresentato un’eccezione alla regola. Certo, un’eccezione abbastanza rara visto che è una della prime volte – se non la prima in assoluto – che a Ravenna viene applicata la recente sentenza della Cassazione alla base della vicenda. Ma un’eccezione vincente, capace di determinare questo risultato: imputato assolto perché “il fatto non sussiste”, come ha messo nero su bianco il giudice Tommaso Paone nelle motivazioni contestuali alla sentenza appena pronunciata.

A invocare questo scenario, era stata la difesa (avvocati Silvia Brandolini e Roberto Fabbri), determinando, pur a fronte di una corposa istruttoria, l’inutilizzabilità di quel 2.24. E non perché le analisi fossero state fatte male, nient’affatto: ma il 44enne, come chiarito dalla Suprema Corte nel 2020, prima del prelievo del sangue in ospedale, andava avvisato della facoltà di potersi fare assistere da un difensore di fiducia. Solo una questione di forma, penserete voi ora: ma sovente nel diritto capita che la forma diventi sostanza, e fine della partita. Questa era iniziata la notte del 25 luglio di due anni fa. Poco prima delle 24 sulla strada tra Ravenna e Faenza, il 44enne, di ritorno da una sagra, aveva fatto tutto da solo sbandando e finendo la corsa ruote all’aria nella scarpata alla sua destra.

Erano arrivate un’ambulanza e una pattuglia delle forze dell’ordine: e lui poco dopo si era ritrovato in ospedale. Visto che non si era fatto troppo male, aveva rifiutato il ricovero ed era tornato a casa. Fino a quel momento gli era stata contestata solo una sanzione amministrativa per la perdita di controllo del veicolo. Ma qualche giorno dopo erano arrivati i risultati delle analisi caldeggiate dagli inquirenti: e con quelli, il bicchiere si era riempito di guai. A fine anno ecco materializzarsi un decreto penale di condanna per guida in stato di ebrezza pluriaggravata: dall’avere avuto un incidente e dall’avere guidato di notte in quelle condizioni. Uguale a pena pecuniaria (sospesa) pari a 7.750 euro di ammenda ma soprattutto revoca della patente e confisca del veicolo. E’ a questo punto che è entrata in scena la difesa opponendosi al decreto (il che ha innescato il processo) e lamentando l’inutilizzabilità del risultato arrivato con il prelievo ematico sulla base appunto della Cassazione del 2020: niente avviso, niente valore. Prima di concludere nella stessa direzione, il giudice ci ha voluto vedere chiaro.

Del resto sulla bilancia c’era quel 2.24 da pesare. Per questo sono stati sentiti diversi testimoni a partire dalle due infermiere e dall’austista del 118 che si era occupati del soccorso in strada al 44enne. In aula ha deposto pure il medico responsabile al tempo della analisi di laboratorio. È emerso che gli standard per la cosiddetta catena di custodia del campione erano stati rispettati, così come i tempi prima dello smaltimento (12 mesi). Esistevano pure i classici moduli per il consenso informato. Ma nessuno aveva avvisato il nostro circa la possibilità di avvalersi di un avvocato, compito che del resto non spettava ai sanitari. Certo che essere assolti con 2.24 non è mica cosa da tutti, si può ben brindare: meglio sarebbe però con un analcolico biondo.

Andrea Colombari