Dopo la condanna a sei anni e mezzo di reclusione per violenza sessuale aggravata sulla figlia, arriva il ricorso in appello da parte dell’uomo ravennate di 50 anni. La sentenza, pronunciata nei mesi scorsi dal Gup Andrea Galanti, aveva accolto in pieno le richieste della Procura: l’uomo era stato giudicato colpevole di aver abusato della figlia per anni, approfittando del ruolo di genitore e dell’autorità esercitata su di lei. Ma ora l’avvocato della difesa, Massimiliano Nicolai, chiede alla Corte d’Appello di Bologna di ribaltare la decisione e assolvere il suo assistito.
I motivi d’appello si fondano – secondo la difesa – sulla non credibilità della parte offesa. In particolare, si evidenziano presunte contraddizioni tra le dichiarazioni rese dalla ragazza ai Servizi sociali di Ravenna e quelle fornite successivamente in sede di incidente probatorio. Inizialmente, infatti, la giovane avrebbe parlato di “rapporti completi” subiti da parte del padre; successivamente, di fronte al giudice, avrebbe ridimensionato le accuse, negando la consumazione di rapporti sessuali.
A ciò si aggiunge, sempre secondo la difesa, l’assenza di segnali d’allarme da parte del contesto familiare e sociale: i nonni paterni, che trascorrevano molto tempo con la nipote, non avrebbero mai notato comportamenti sospetti; lo stesso vale per gli insegnanti, ai quali la ragazza aveva accennato ad alcune difficoltà, senza però che nessuno ritenesse opportuno informare i servizi. La giovane avrebbe parlato anche con un ex fidanzato, che però non sarebbe mai stato messo al corrente di nulla, e solo in modo vago con il partner attuale.
Un altro elemento su cui insiste la difesa riguarda la madre: pur essendo stata messa a conoscenza – secondo quanto riferito – di “comportamenti strani” da parte dell’ex compagno, non avrebbe mai sporto denuncia né allertato le autorità. Per l’imputato si tratterebbe di una “trappola”, legata a motivazioni economiche dopo la separazione, e ha sempre negato qualsiasi abuso, parlando di “giochi innocui tra padre e figlia”.
Anche per questo motivo l’avvocato Nicolai contesta la severità della pena e la mancata concessione delle attenuanti generiche, giudicando “eccessivamente onerosa” la condanna inflitta dal giudice di primo grado.
Il processo di primo grado si era celebrato con rito abbreviato, e la sentenza si basava soprattutto sulle dichiarazioni della figlia, che aveva raccontato una lunga serie di episodi: abusi iniziati prima dei dieci anni, ricatti morali dopo i quattordici, fino a un presunto episodio in cui il padre le avrebbe detto che, per poter uscire con le amiche, avrebbe prima dovuto avere un rapporto con lui. La giovane, che inizialmente non aveva sporto denuncia per paura di non essere creduta, era stata ascoltata in incidente probatorio, confermando parte delle accuse, pur precisando l’assenza di rapporti completi.
Ora toccherà alla Corte d’Appello valutare se le incongruenze segnalate dalla difesa siano sufficienti a scardinare l’impianto accusatorio che ha portato alla condanna in primo grado. La battaglia legale è tutt’altro che conclusa.
l. p.