Ravenna, sesso in caserma segnato come straordinario: carabiniere condannato

Undici mesi per una truffa allo Stato da 15 euro a un appuntato, entrò a mezzanotte con due donne facendosi pagare lo straordinario

L’ingresso del comando provinciale dell’Arma, dove l’11 gennaio 2018 si consumò la vicenda

L’ingresso del comando provinciale dell’Arma, dove l’11 gennaio 2018 si consumò la vicenda

Ravenna, 1 aprile 2021 - Galeotto fu un ufficio del comando provinciale carabinieri di viale Pertini, divenuto in orario notturno, complici corridoi e altre stanze deserti, insolito teatro di un set a luci rosse e del rapporto sessuale tra un militare e una donna conosciuta poco prima, che aveva fatto entrare assieme a un’amica col pretesto di acquisire preziose informazioni a fini investigativi.

Truffa, falso ideologico commesso da pubblico ufficiale e forzata consegna. Sono le accuse per le quali ieri il giudice Natalia Finzi ha condannato a 11 mesi, con pena sospesa, un 49enne appuntato scelto dei carabinieri, originario di Napoli, all’epoca dei fatti contestati in forza alla stazione di Ravenna principale e in seguito trasferito ad altro comando. In buona sostanza, per quella pausa d’amore, si era fatto segnare un’ora di straordinario – danno allo Stato, 15 euro lordi –, ma la vicenda inizialmente si era incanalata su binari inquietanti, in quanto la donna dopo quella scappatella aveva accusato il militare di averla violentata. Un’accusa rivelatasi falsa, in quanto il rapporto fu consensuale, circostanza che le è poi costata una contro indagine per calunnia, ancora pendente e che si risolverà a maggio.

Secondo quanto delineato nelle indagini coordinate dal Pm Cristina D’Aniello, l’appuntato verso la mezzanotte tra 10 e 11 gennaio 2018, con un’ora di anticipo rispetto al suo orario prestabilito di servizio, aveva fatto entrare le due donne negli uffici del comando riferendo al piantone, falsamente secondo l’accusa, la necessità di acquisire con una certa urgenza importanti informazioni nell’ambito di un’attività investigativa che stava seguendo. Il piantone segnò quell’ingresso sul registro con il prefisso ’Info’, da qui l’accusa di avere tratto in inganno la pubblica amministrazione e il collega con dichiarazioni mendaci. Un’ora sola di straordinario, ma sufficiente per la scappatella notturna sul luogo di lavoro. Sogno proibito di molti, ma certamente tabù in una sede istituzionale di tale prestigio.

I tre si erano conosciuti poco prima in un bar vicino. Quattro chiacchiere, la richiesta di una delle due donne di poter vedere la caserma e l’appuntato – che di lì a breve sarebbe entrato in servizio – aveva deciso di accontentarle. Poi il misfatto, per il quale all’uomo fu sufficiente un quarto d’ora. Secondo l’accusa, inoltre, la vicenda aveva gettato discredito sull’istituzione dell’Arma, in ragione del clamore mediatico che, a livello locale, aveva suscitato.

Diversa la ricostruzione della difesa, che con l’avvocato Enrico Ferri chiedeva l’assoluzione e, una volta lette le motivazioni della sentenza – il giudice si è preso 70 giorni per depositarle – valuterà se appellarla. Intanto, nel rimarcare che il tutto fu innescato da una calunnia, ossia da una violenza sessuale mai commessa, la difesa nella sua arringa ha sostenuto che quell’attività investigativa fu effettivamente svolta e che la richiesta di straordinario non fosse ingiustificata. Ciò in quanto l’appuntato aveva effettivamente lavorato la sera del 10 gennaio, per poi uscire per una pausa caffè e rientrare con le due donne, le quali all’interno del comando rimasero circa un quarto d’ora, da mezzanotte e 6 minuti a mezzanotte e 20.

E nei quaranta minuti restanti di orario straordinario il militare aveva lavorato. Non vi fu alcun indebito arricchimento, perché il danno alla pubblica amministrazione fu risibile. Riguardo al falso, ha sostenuto l’avvocato Ferri, questo non vi fu in quanto l’imputato consentì di identificare le due ospiti, consegnando i loro documenti al piantone, il quale appunto segnò quell’ingresso con un generico ’Info’. E riguardo allo straordinario percepito non vi era rilevanza di atto pubblico, in quanto la richiesta attiene al rapporto di lavoro.