"Sesto grado di giudizio, interroghiamoci"

Le parti, accusa, difesa e parti civili, erano anche disposte ad accorpare i due processi. Eppure la corte alla fine ha deciso di mantenerli formalmente distinti, in quanto "i punti di contatto sono marginali" mentre altri dati come movente, relazioni con le vittime e accertamenti sulle cause del decesso, "sono del tutto autonomi". Nonostante ciò, ha spiegato il presidente Valenti, "viaggeranno su binari paralleli". Un conto è l’omicidio Montanari, 94enne di Conselice, morto il 12 marzo 2014, per il quale la Poggiali è stata condannata in primo grado a 30 anni e siamo al primo appello. Un processo fortemente indiziario basato, soprattutto, sulla minaccia – riferita dalla moglie della vittima – che cinque anni prima l’infermiera aveva rivolto all’anziano, datore di lavoro del fidanzato.

Diverso, invece, il processo per la morte della 78enne di Russi Rosa Calderoni, morta l’8 aprile 2014 sempre all’Umberto I, per il quale si sta celebrando il terzo giudizio di appello. Su questo le parole del presidente Valenti fanno intendere che qualcosa non ha funzionato: "Dobbiamo chiederci perché siamo al sesto grado di giudizio, dopo due annullamenti in Cassazione. Il problema è come tutto ciò possa succedere" in quanto "non è che la seconda sezione della Corte d’appello di Bologna sia composta da persone squilibrate". Sull’omicidio Montanari, la corte ritiene "necessario" sentire come testimoni due compagni di stanza della vittima e ha affidato ai carabinieri il compito di ritrovarli. Problema: i fatti risalgono al 2014 e almeno uno dei due è morto. "Tale identificazione è problematica", ammette la corte, in quanto "nella stanza non erano registrati altri degenti" ma testimoni, tra cui la moglie della vittima, ne confermano la presenza. I due dovrebbero dire di avere visto la Poggiali praticare un’iniezione a Montanari che poi morì, cosa fin qui riportata de relato da un’infermiera.