Processo Poggiali. "Si moriva di più se di turno c’era lei?"

La corte bolognese ha dato incarico a un professore romano per una perizia sui decessi in corsia a Lugo

L’ex infermiera Daniela Poggiali anche ieri era presente all’appello-ter

L’ex infermiera Daniela Poggiali anche ieri era presente all’appello-ter

Ravenna, 6 ottobre 2021 - Forse ci sarà pure un ulteriore vaglio sulle cartelle cliniche dei 61 pazienti ricoverati nello stesso reparto in quei fatidici giorni dell’aprile 2014. Di sicuro ci sarà una perizia statistica per capire quanto là dentro si moriva e quante volte era presente lei, la 48enne Daniela Poggiali, all’epoca infermiera dell’ospedale ’Umberto I’ di Lugo, ora imputata in un lungo procedimento giunto ieri alla sua quarta udienza nel suo terzo appello.

Aggiornamento Daniela Poggiali assolta il 25 ottobre

A dovere rispondere al quesito, è il professore ordinario Alessio Farcomeni dell’università di Roma Tor Vergata. E lo deve fare a tambur battente: in 15 giorni appena, come gli ha chiesto il presidente della corte d’assise d’appello di Bologna Stefano Valenti. Anzi, a conti fatti 12: perché i lavori peritali, che inizieranno oggi, dovranno chiudersi entro il 18 ottobre giorno nel quale l’esperto dovrà depositare la sua analisi in cancelleria. E il 19 dovrà essere di nuovo a Bologna per esporre davanti ai giudici e alle parti le sue conclusioni. Ma se pensate che quello statistico possa essere solo un vaglio al contorno, vi sbagliate. Certo, nessuno è stato (o potrà mai essere) condannato sulla base delle sole statistiche: ma i numeri - come chiarito dalla Corte Suprema nel bocciare con la matita blu le precedenti sentenze di assoluzione - vanno comunque analizzati come parte del contesto. E per il caso della morte di Rosa Calderoni - la paziente 78enne di Russi il cui decesso dell’8 aprile 2014 a Lugo alimenta questo fascicolo per omicidio pluriaggravato - una perizia statistica rappresenta una novità assoluta: probabilmente l’unica, almeno dal punto di vista tecnico, finora emersa nell’appello-ter. Sì, perché i periti sui quesiti medico legali che verranno interpellati, in fondo sono gli stessi già incaricati nel primo appello. Mentre di consulenze statistiche ve ne sono dell’Ausl Romagna e soprattutto della Procura di Ravenna: ma finora nessun tribunale aveva optato per incaricare un proprio esperto, un perito appunto.

Sul tema, il lavoro fin qui più ampio è quello depositato dalla procura ravennate in occasione del riesame da cui era uscita la conferma della custodia cautelare in carcere per la Poggiali in relazione alla condanna a 30 anni inflitta alla donna per l’omicidio pluriaggravato di un paziente – il 94enne conselicese Massimo Montanari – morto il 12 marzo 2014 a poche ore dalle dimissioni dall’ospedale di Lugo (procedimento giunto in appello parallelamente a quello per il decesso Calderoni).

In particolare dei 191 decessi registrati in reparto tra il 9 aprile 2012 e l’8 aprile 2014, secondo tale studio 139 hanno riguardato il settore in cui stava lavorando l’imputata e quello comunicante; mentre 52 sono quelli verificatisi nei due settori contrapposti. Tradotto in proporzioni, là dove l’imputata prestava le proprie cure - prosegue l’accusa - si moriva due volte e mezzo di più. Con una escalation: perché nel primo anno la Poggiali – sempre secondo tale analisi – aveva fatto registrare 6,8 morti a settimana contro un tasso medio di 4,5. Nel secondo anno il tasso per l’imputata era salito a 11,1 morti a settimana contro una media di 4,7 per le altre infermiere.

Negli ultimi sei mesi di servizio, quelli nei quali erano morti tra gli altri Montanari e Calderoni, la Poggiali aveva raggiunto un picco di 16 morti a settimana, più del triplo delle colleghe. Il rischio a lei attribuito dalla consulenza, era pari a 11: cioè rimuovendola, il tasso di mortalità si sarebbe ridotto di almeno 11 decessi a settimana, come presumibilmente accaduto dopo le ferie forzate.

Le difese naturalmente sono pronte a dare battaglia. Lo ha fatto capire ieri uno dei legali della Poggiali, Lorenzo Valgimigli: "Le statistiche - ha detto rivolgendosi alla corte - al massimo possono servire per avviare l’indagine ma non costituiscono certo prova di nulla". In quanto al reparto lughese, ha rilevato come i decessi fossero relativi a "pazienti terminali e cioè che sarebbero morti con chiunque".

Un confronto al quale ha partecipato anche il sostituto procuratore generale Luciana Cicerchia ricordando come "il tema del dato statistico debba essere tenuto in considerazione: lo ha detto la Cassazione". Ed eccoci al quesito: preliminarmente il perito dovrà compiere valutazioni sul metodo scelto e sugli scopi delle statistiche medico-forensi. Nel merito, "acquisendo i dati che riterrà necessari", dovrà elaborare gli indici di frequenza di morte considerando il fattore trasversalità tra settori ospedalieri e valutando i numeri anche nei turni del mattino successivi a quelli dell’imputata: come dire che eventuali azioni sui pazienti si sarebbero potute riverberare nelle ore successive. Il tempo per rispondere, ora la sappiamo, è poco, pochissimo.

Andrea Colombari