"Sottrasse allo Sporting 150mila euro"

A processo per appropriazione indebita un consulente chiamato a risanare i conti del ristorante, poi fallito

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Lo Sporting, il noto ristorante di Milano Marittima caduto in disgrazia nell’aprile 2018, si era affidato a lui per rimettere i conti in sesto, dopo che dai bilanci era emerso un buco di 1,5 miliardi di euro. A proprio dire un 50enne tributarista, residente a Londra, sarebbe riuscito nell’obiettivo, se non altro in parte. Ma, nonostante ciò, per la srl un paio d’anni più tardi arrivò il fallimento. Ora quel consulente si è ritrovato a processo, davanti al giudice Antonella Guidomei, con l’accusa di appropriazione indebita, per aver distratto dai conti già deficitari di quella società 150mila euro. E questo attraverso una serie di bonifici, tra l’agosto 2015 e il marzo 2016.

Il primo bonifico di 48mila euro lo fece su un conto corrente intestato alla società T Group, di cui l’imputato era amministratore di fatto; un secondo di 8mila euro su un conto postale; il terzo, e più consistente, di 97mila euro su un altro conto sempre a lui intestato. Parte di quel denaro, secondo l’accusa ostacolandone la provenienza attraverso il ricorso a false fatturazioni, era finito in imprese a lui collegate e specializzate alla costruzione di impianti eolici, settore del tutto estraneo a quello per il quale era stato chiamato come consulente. Con lui sono imputati, per reati tributari finalizzati all’evasione fiscale, altre tre persone, per un funzionario di banca è stata chiesta l’archiviazione.

A presentare la denuncia, ben prima del fallimento, fu la garante nei rapporti bancari per conto dello Sporting, al processo parte civile con la tutela dell’avvocato Claudio Cicognani.

Ieri, incalzato dalle domande del Pm Stefano Stargiotti, ha reso esame il consulente 50enne, l’imputato principale in questa vicenda, nella quale è difeso dall’avvocato Silverio Sica. Il ristorante alla rotonda Primo Maggio si era affidato a lui, ma non risultano contatti scritti. "Fu un accordo orale, che prevedeva un compenso di 150mila euro", si è difeso l’imputato, sostenendo che quei denari che aveva fatto uscire erano la cifra concordata con la società, che però la pensa diversamente. Lo stesso ha spiegato di essere titolare di diverse società di consulenza a Londra, dove vive, e in Italia.

In due anni avrebbe risollevato i conti dello Sporting e nega l’appropriazione indebita. Ma per l’accusa si sarebbe pagato da solo e indebitamente. La mancanza di fatture l’attribuisce al fatto che "io le emettevo, ma era il commercialista dello Sporting a non contabilizzarle". Un bel giorno l’assemblea dei soci lo mise alla porta, togliendogli la password attraverso la quale riusciva a compiere le movimentazioni di denaro. Il tutto dopo che, a proprio dire, era riuscito a risanare, sebbene in parte, i conti di quella società. Tanto che dopo questo risanamento, a detta dell’imputato, tra i soci dello Sporting "si scatenò l’inferno" in quanto a quel punto faceva gola e tutti lo volevano. "Io no – ha garantito –, non ho mai voluto prendermi lo Sporting". Fatto sta che di lì a un anno e mezzo arrivò il fallimento. Prossima udienza a metà mese, quando a parlare saranno altri testimoni della difesa.