Tecnico morto nel crollo alla diga: "Mai visto un iter così lacunoso. Lo dissi: fui ammonito dai superiori"

La testimonianza di un ingegnere della Regione al processo sull’incidente alla centrale di San Bartolo

Tecnico morto nel crollo alla diga: "Mai visto un iter così lacunoso. Lo dissi: fui ammonito dai superiori"
Tecnico morto nel crollo alla diga: "Mai visto un iter così lacunoso. Lo dissi: fui ammonito dai superiori"

"Ho svolto 48 collaudi dal 2012 e non avevo mai visto un iter così. Di certo occorreva un’autorizzazione più complessa". Anche perché "quel progetto, insieme alla centrale di Mensa Matellica, era l’opera più importante gestita negli ultimi quarantanni". Dalla testimonianza dell’ingegner Paolo Staccioli – sentito nell’ambito del processo sul crollo, il 25 ottobre 2018, della chiusa di San Bartolo, nel quale morì il tecnico della protezione civile Danilo Zavatta – emerge una volta di più quanto negli uffici regionali dell’ex Servizio tecnico vi fossero aspre divergenze tra la base e i vertici circa il procedimento autorizzativo della centrale idroelettrica sul fiume Ronco, alla luce di criticità progettuali non risolte e la fretta, di alcuni, di arrivare in fondo. Tra tutte, l’assenza di un visto definitivo e di una valutazione dell’opera da un punto di vista idraulico. Nove gli imputati tra dipendenti delle Regione, responsabili e progettisti della centrale. Rispondendo alle domande del Pm Lucrezia Ciriello, Staccioli ha ricostruito il sopralluogo del luglio 2017 – un anno e tre mesi prima dell’incidente – a seguito di un importante scalzamento di una pila laterale a sostegno della chiusa, di cui in un’udienza precedente aveva già riferito il collega Enzo Errichiello. "A seguito di un primo sopralluogo di Errichiello – ha detto Staccioli – fu la Forestale a chiedermi di verificare la sicurezza idraulica della centrale in costruzione. Notai un movimento di terreno nel cantiere nel fiume , inoltre la caratterizzazione degli stessi evidenziava che almeno per due terzi erano inquinati, quando in realtà erano tutti da discarica". In secondo luogo il tecnico del Servizio di rischio idraulico appurò un sifonamento, un’infiltrazione di acqua che dalla campagna di là dalla Ravegnana filtrava sotto l’argine, trovando riscontro nel parziale asciugamento del pozzo di un privato. "L’argine era imbibito, si stava caricando di acqua dalla falda esterna". Invece la Gipco, la società che stava costruendo la centrale, "incolpava piene del Ronco che non c’erano mai state".

A quel punto, però, i lavori "erano in fase avanzata. Cosa si sarebbe dovuto fare? Uno studio sulle cause del sifonamento, emerse solo in seguito". Quella relazione fu poi girata ad Arpae. Perché non ai suoi superiori? ha chiesto il Pm. "Il sopralluogo mi era stato chiesto dai Forestali tramite Arpae. Inoltre, dai superiori avevo già ricevuto due “cartellini gialli“. Il primo, per aver sollevato un analogo problema per la centrale di Mensa (è in corso un processo per l’erosione degli argini; ndr); il secondo, per aver rimarcato l’assenza del visto. Si era creata una situazione incalzante, il cantiere aveva scadenze in vista". Non solo. La risposta di Arpae, alla relazione di Staccioli, "arrivò quasi un anno dopo, chiedendo se ci fossero ancora criticità". Risposte dalla Regione? "Nessuna. Fu la ditta ad autocertificare che tutto era stato risolto. E fu accettato". Di lì a pochi mesi, il crollo.

Lorenzo Priviato