Tuta alare, i mondiali a Ravenna. Tuffi da 3700 metri per i temerari del cielo

Ecco gli uomini 'pipistrello': "Lo sport più sicuro che ci sia"

Tutto pronto per i mondiali di tuta alare

Tutto pronto per i mondiali di tuta alare

Ravenna, 28 agosto 2019 - C’è chi ha le cuffie alle orecchie, chi naviga sul tablet, chi sorseggia un caffè, chi pulisce la tuta, chi fa esercizi di stretching e c’è chi se la dorme. Tutti all’ombra. E tutti sui lettini. Sì, proprio quelli da spiaggia. La struttura è suddivisa in box open space, secondo una disposizione circolare. Ogni nazione ha uno spicchio di semicerchio, personalizzato con la bandiera.

È una specie di villaggio olimpico in miniatura, con annesso campo di gara, dove trovano spazio anche l’inaccessibile ‘stanza dei giudici’ e l’area di ‘ripiegamento’, nella quale le nazionali più facoltose si fanno piegare le tute dopo i lanci. Nel parcheggio non mancano alcune tende da campeggio, segno che la passione per questa disciplina ha un ruolo decisivo. 

Eccoli dunque i 66 temerari (e temerarie, visto che ci sono anche 2 ragazze) che, fino a venerdì, ingannano l’attesa in una atmosfera ovattata, prima di buttarsi giù dai 3.700 metri di un aereo da turismo con la tuta alare (foto).

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Si contendono la 3a Coppa del mondo e il 1° Europeo. Il centro di gravità di questo evento riservato a ‘pazzi scatenati’ in cerca di emozioni forti, è la Spreta, ovvero l’aeroclub Pull Out di Ravenna. Organizzazione e location – dicono soprattutto gli stranieri – sono perfette. Ci siamo andati per vederli in faccia. Per capire cosa li spinge ad emulare Patrick de Gayardon, l’inventore della tuta alare, scomparso nel 1998 nel corso di un lancio di prova: «La tuta alare – ripetono tutti gli atleti – è uno sport estremo, ma è anche il più sicuro che ci sia. Per assurdo, è più pericoloso girare in macchina. De Gayardon commise l’errore di voler apportare una modifica al paracadute con una cucitura che impedì alla vela principale di aprirsi».

La nazionale italiana, che punta al podio nell’Europeo, è composta da 3 elementi. Gerardo Capezzera è il più giovane ed il capitano. Ha 41 anni, viene da Potenza e vive a Livorno. È del ramo, perché è un parà dei Carabinieri, ora alla Seconda brigata mobile. «Il paracadutismo è una cosa. La tuta alare è tutta un’altra storia, perché voli davvero, insomma, plani. È uno sport ricco, praticato da poveri». Claudio Antonini è l’ultimo arrivato. Ha 43 anni, è di Firenze ed è disegnatore meccanico. Alessandro Urzì è invece il... meno giovane. Ha 49 anni, di Catania, ha abbandonato l’attività di podologo per dedicarsi al paracadutismo (è istruttore) e alla tuta alare. All’attivo ha 8.300 lanci, di cui 300 con la tuta alare: «Tornerò a fare il podologo perché, di paracadutismo e di tuta alare, non si vive».