Tutti assolti. Le difese: "È stata la mafia"

Sentenza netta per il sequestro del 1987 finito con l’omicidio del 21enne carabiniere Minguzzi. "Un festival delle suggestioni"

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Tutti assolti con formula piena “per non avere commesso il fatto”. Dopo poco più di un’ora, verso le 15 di ieri la corte d’assise è uscita dalla camera di consiglio con una sentenza netta su di uno dei cold case più antichi d’Italia. Ovvero quello relativo all’omicidio di Pier Paolo Minguzzi, il 21enne carabiniere di leva a Bosco Mesola, nel Ferrarese, sequestrato la notte tra il 20 e il 21 aprile del 1987 mentre in licenza rincasava ad Alfonsine dai suoi familiari, imprenditori del settore ortofrutticolo, poi incaprettato a una grata e gettato nel Po. Il presidente della corte Michele Leoni ha fissato in 90 giorni il termine per depositare le motivazioni. Alla sbarra, due ex carabinieri al tempo in servizio proprio alla caserma di Alfonsine: il 58enne Angelo del Dotto di Ascoli Piceno e il 57enne Orazio Tasca, di origine siciliana ma da anni residente a Pavia. E l’idraulico del paese: il 66enne Alfredo Tarroni. Secondo il pm Marilù Gattelli, che nel 2018 aveva riaperto il caso inizialmente archiviato, tutti e tre meritavano l’ergastolo con questi ruoli: Tasca il telefonista, Del Dotto la sua ombra e Tarroni la mente. Le difese hanno invece chiesto proprio l’assoluzione piena lamentando mancanza di indizi e indagini a senso unico e sottolineando come la perizia fonica disposta dalla corte avesse scagionato Tasca dal ruolo di telefonista. Tra le altre cose, è stato adombrato il dubbio che il sequestro fosse stato pianificato da assassini tutt’ora ignoti e forse in odore di mafia. "Atroce, disumano, orribile delitto" – ha detto l’avvocato Andrea Maestri – con "le caratteristiche di un sequestro a scopo di omicidio, di matrice mafiosa". Vedi "l’interesse che la criminalità organizzata poteva avere nella redditizia attività della famiglia". E tra gli elementi in tal senso, ha indicato la tecnica dell’incaprettamento oltre al fatto che "la famiglia Minguzzi, molto in vista nel 1987 – probabilmente la più facoltosa di Alfonsine insieme ai Contarini e ai Marini – potesse essere oggetto di attenzioni da parte della criminalità organizzata". Il legale ha lamentato una "deliberata esclusione di approfondimenti" in materia. E ha ricordato come in quel periodo "sia i lidi ferraresi che Lido Adriano pullulassero di pregiudicati in soggiorno obbligato". In quanto a Tarroni, la mancanza di un alibi non deve stupire: "Nessuna delle persone in aula ricorderebbe dove si trovava quella notte". Per il suo assistito ha lamentato infine la totale assenza di elementi "precisi, gravi e concordanti". Anche l’avvocato Gianluca Silenzi è tornato sulla questione dell’alibi: che nel caso di Del Dotto ad avviso della difesa esiste: "Ha detto sempre di avere fatto il piantone in caserma e di non essere mai uscito". In generale a suo avviso "gli indizi nel corso del dibattimento si sono sciolti come neve al sole". Da ultimo l’avvocato Luca Orsini, difensore del principiale imputato, del Tasca ha detto che "è uno zoticone, gretto, indisciplinato, impulsivo: un interprete perfetto per vestire i panni dell’imputato" nell’ambito di quello che ha bollato come "festival delle suggestioni". Ma alla fine "la perizia fonica ha escluso che la voce della richiesta di riscatto "fosse sua".

Andrea Colombari