Mobbing omofobo alla dipendente Lidl, condannati i vertici: "Umiliata per anni sul lavoro"

Angherie, vessazioni e battute contro l’omosessualità di una dipendente: 3 mesi al caporeparto per averle cagionato una malattia professionale e multe ai dirigenti per non averlo impedito

Da sinistra, Federica Chiarentini e Sara Silvestrini con l’avvocato Alfonso Gaudenzi

Da sinistra, Federica Chiarentini e Sara Silvestrini con l’avvocato Alfonso Gaudenzi

Ravenna, 21 giugno 2022 - Angherie, battute sulla sua omosessualità, massacranti turni di notte tra camionisti molesti, chiamate sul telefono privato e fuori dall’orario di lavoro, fino al licenziamento. La storia di Sara Silvestrini, 42enne ex magazziniera della Lidl di Massa Lombarda, aveva fatto il giro d’Italia ed era confluita in un processo a carico del caporeparto per lesioni, avendole cagionato una malattia professionale, e di tre vertici della catena di supermercati per non avere impedito l’evento. Ma in aula più volte l’accusa ha utilizzato il termine mobbing. Ieri Sara, parte civile con la tutela dell’avvocato Alfonso Gaudenzi, ha avuto la sua rivincita.

Il giudice onorario, Tommaso Paone, ha condannato tutti e quattro gli imputati: a tre mesi il capo reparto, Emanuel Dante, e a 500 euro di multa i dirigenti Lidl Pietro Rocchi, Emiliano Brunetti e Claudio Amatori. E la Lidl Italia, in solido, come responsabile civile. Il giudice ha infatti riconosciuto 30mila euro di provvisionale alla lavoratrice e danni da stabilire in sede civile anche per la sua compagna, Federica Chiarentini, che a sua volta aveva subito le conseguenze di questa vicenda. I reati fra tre mesi saranno prescritti, l’onere risarcitorio resta. Le accuse principali ricadevano sul caporeparto il quale, a dispetto di un certificato medico che la dichiarava inabile a sollevare pesi e sebbene il contratto non prevedesse il notturno, la faceva lavorare soprattutto la notte e in una settimana Sara arrivò a fare 39 ore di straordinario oltre alle 38 ordinarie, in assenza di idonea certificazione medica per il rischio di stress lavorativo.

Lo stesso si sarebbe reso protagonista anche di intrusioni nella vita privata della donna, con telefonate e messaggi in orari non consoni e fuori dal lavoro. E quando lei, esasperata da quello stalking sostanziale, aveva cambiato il numero, lui riuscì a recuperare quello privato reiterando così quelle condotte. Al caporeparto venivano contestati anche spinte, strattoni, insulti, rimproveri accesi anche al cospetto dei colleghi, battute sessiste: la invitava a essere gentile con i camionisti, pur conoscendo la sua omosessualità. E proprio da un camionista una notte fu molestata con palpeggiamenti. La linea difensiva puntava a dimostrare che la donna era già stata risarcita dopo il licenziamento e che il rischio di lavoro da stress era stato mappato da Lidl e tenuto sotto controllo.