"Un anno in bici, lungo i bordi dell’Europa"

Nicolò Farroni e la compagna Simona Schär hanno percorso 15mila chilometri percorrendo le coste del continente, da Istanbul a Capo Nord

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di Filippo Donati

È seguendo la linea di costa che i fenici prima e i greci poi hanno dato un nome all’Europa: nel Mediterraneo orientale, a Marsiglia, e poi ancora fino a Lisbona. Nicolò Farroni, 28enne ravennate, ha avuto undici mesi fa un’idea simile: attraversare l’Europa da est a ovest e da sud a nord, sempre seguendo la linea di costa. Insieme a lui la sua ragazza Simona Schär – svizzera di Berna – due biciclette gravel, una tenda, alcuni zaini, e una rete di conoscenze cresciuta in maniera costante.

Nicolò, ci racconti di quel primo colpo di pedale.

"Dobbiamo ammettere che l’obiettivo iniziale era un altro: sempre la traversata di un continente, ma pensavamo all’Australia, o agli Stati Uniti, oppure all’America del sud. Poi è arrivato il Covid, gli oceani sono tornati invalicabili o quasi, e davanti a noi abbiamo visto spalancarsi un continente come raramente lo avevamo osservato, punteggiato di golfi e penisole, promontori e insenature, colline e montagne là dove altrove avremmo invece incontrato pianure sconfinate".

L’idea di circumnavigare l’Europa seguendo le strade costiere è nata a Istanbul, non è così?

"Eravamo arrivati là poco più di un anno fa, dopo essere partiti da Ravenna e avere attraverso Slovenia, Croazia, Bosnia, Montenegro, Albania, Macedonia e Grecia. Lì capimmo che dopo aver puntato le ruote in direzione est poteva avere senso spingersi anche fino al punto più meridionale d’Europa, a Tarifa, in Andalusia, e a quello più occidentale, in Portogallo. E di lì proseguire fino a Capo Nord, 15mila chilometri dopo. Salpati di nuovo da Ravenna, la nostra rotta ha lasciato la costa in pochi punti: in Italia – abbiamo preferito puntare dritti verso il Tirreno – nell’interno dell’Andalusia, in Bretagna e nel nord della Germania".

Un avventura? Forse: direbbe qualcuno.

"L’Europa è solcata di direttrici da tempo immemore. E difficile – quasi impossibile, fatta eccezione per l’Ungheria e forse alcune delle più remote valli basche – trovare qualcuno che non parli almeno una lingua europea. Il continente che ci si è srotolato davanti ci ha invece mostrato gradualmente tutta la sua diversità, tutte le increspature create dalla geologia o dallo spostarsi degli esseri umani. Le pianure che avremmo incontrato nel midwest americano, in Patagonia o nel sud dell’Australia qui semplicemente non esistono: la campagna francese è fatta di continui saliscendi, in un paesaggio mai banale. Così come la Svezia: quella che può sembrare una lingua di terra piatta è in realtà una penisola emersa prepotentemente dal mare, dove non abbiamo mai fatto meno di 600 metri di dislivello al giorno".

Diverso è anche l’approccio che gli europei, lungo la via, hanno dimostrato di avere con le montagne, giusto?

"Le strade alpine che conosciamo, con lunghi tornanti, non furono ovunque una scelta obbligata. Nei Paesi Baschi le tecniche costruttive e ingegneristiche appaiono di tutt’altra natura: colline e montagne vengono valicate con strade spesso rettilinee, brevi e ripidissime. La pianura, in realtà, almeno da qualche parte c’è: dispiace ripetere una banalità, ma il nord della Germania non è decisamente un paesaggio emozionante".

La vita in Europa non sarà scandita dagli stessi estremi dell’Australia o del Sudamerica ma anche qui esistono luoghi in cui l’essere umano appare ancora un ospite, non trova?

"In Svezia succede di non incontrare tracce della presenza dell’uomo per anche 100 chilometri. Qualsiasi spostamento va soppesato: quelli che sulla mappa appaiono come villaggi sono spesso solo una manciata di case. Trentacinque giorni da quelle parti, in mezzo alla foresta, sono davvero lunghi. Ma l’Europa attraversata in bicicletta è anche un luogo le cui rotte fanno sì che non si sia mai troppo lontani dalle persone incontrate lungo il cammino: in Normandia, ad esempio, ci siamo fermati per cinque giorni nella casa di alcuni francesi incontrati mesi prima in Spagna. Il loro è senz’altro il più fiero tra i popoli europei, ma anche il più ospitale. Non c’è città francese che non abbia saputo rimettere in discussione le proprie certezze per fare sì che chi si muove in bici possa utilizzare piste ciclabili dall’ingresso in città fin quasi alla piazza principale. Perfino in Spagna il principio del metro e mezzo di margine, quando si sorpassa un ciclista, è puntualmente rispettato. Altrove sono semplicemente le abitudini a essere diverse: nei Balcani ad esempio non abbiamo fondamentalmente incontrato nessun altro ciclista, che si trattasse di un viaggiatore o di un semplice pendolare. Abbiamo visto gente a cavallo, o affiancata da una mucca, o alla guida di un calesse, ma nessuna bici. I colpi di clacson ricevuti erano però regolarmente dei saluti, mai dei rimproveri. Forse addirittura degli arrivederci".

Lungo la strada siete stati ospitati, avete incontrato persone generose?

"Sì, abbiamo usato l’app warmshowers che permette di mettersi in contatto con altre persone. C’è chi ci ha fatto da mangiare, ospitato, è stato bellissimo anche questo".

Come avete raccolto le risorse per questo viaggio?

"Abbiamo risparmiato, per noi i soldi erano come tempo. Il budget era quello che ci permetteva di viaggiare. Poi ci siamo licenziati, Simona ha venduto l’auto, abbiamo lasciato l’appartamento in affitto. E siamo partiti, con le bici e la nostra tenda. Ora siamo tornati e riprenderemo a lavorare".