"Un disco blues, con dedica a George Floyd"

Gloria Turrini e Mecco Guidi presentano il nuovo album, ’G and the Doctor’: "È un percorso a ritroso, i suoni più nuovi sono degli anni ’60"

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’G and the Doctor’ (Brutture Moderne) è il nuovissimo disco della cantante faentina Gloria Turrini e del suo compagno di avventure, Mecco Guidi. I due condividono palchi, chilometri ed emozioni dal 2010 e hanno pubblicato diversi album. Tappe di un percorso musicale che ha toccato tantissime sfumature della musica nera, fino ad arrivare, con il nuovo ’G and the Doctor’, alle ’origini’ con il blues rurale, il jazz di New Orleans e il rock n’roll. Un disco che rispecchia l’anima live del duo romagnolo, con Gloria alla voce e alla batteria e Mecco al piano. Con loro, in alcune tracce, anche la tromba di Andrea Guerrini e il featuring degli amici Lovesick Duo, nel brano ’A rockin good way’, cover di un singolo di Dinah Washington del 1960.

Turrini, il titolo del disco ha un significato particolare?

"Nel mondo del blues old school si usano queste formule. G. è la mia iniziale, the Doctor perché facciamo una canzone vecchissima, ’Doctor Jazz’ di Jelly Roll Morton".

Che brani ci sono in questo album?

"Sono undici singoli, di cui nove inediti e due cover. Gli inediti sono stati scritti negli ultimi due anni da me e da Mecco, tutto a quattro mani. Una delle cover è in collaborazione con i Lovesick Duo".

Com’è nata questa collaborazione?

"Ci conosciamo da tanti anni, abbiamo fatto anche uno spettacolo teatrale su New Orleans". Oltre a cantare, lei suona anche la batteria.

"In tutti i pezzi! Mi è sempre piaciuta tantissimo, ma non avevo mai pensato di suonarla. Sono partita con il rullante per accompagnarmi dal vivo, fino ad arrivare a una piccola batteria completa".

Ci sono nuove sonorità?

"È un disco essenziale, rispecchia quello che facciamo dal vivo. Le sonorità più nuove presenti nel disco sono degli anni Sessanta: il nostro è un percorso a ritroso".

Qual è il segreto della vostra unione?

"Sicuramente la poligamia! Questo è il progetto a cui diamo la priorità, però suoniamo anche con altre persone. E poi tanta pazienza per i nostri caratteri".

Gli inediti di cosa parlano? "Molti li ho scritti mentre ero a New Orleans: naturalmente c’è l’amore un po’ ’sfigato’ e quello meno sfortunato. Canto anche di diritti civili: c’è un brano che ho scritto dopo la vicenda di George Floyd, si intitola ’I can’t breathe’ e a breve uscirà il video".

Un singolo dedicato a George Floyd quindi?

"Mi trovavo a New Orleans quando successe il fatto. In alcune città vicine scattò un putiferio, una cosa sentita da tutti in maniera viscerale. Per un po’ non ho avuto il coraggio di guardare il video. Dopo averlo visto, mi è uscito questo pezzo che è molto semplice. Volevo un suono che richiamasse il senso della schiavitù e il rumore delle catene. Mi sono messa nei panni di George Floyd: il brano è un grido di disperazione vero e proprio. Il razzismo è ancora una realtà tangibile e questo fa paura. Lo so perché l’ho visto. Da fuori l’America è patinata, sembra tutto rose e fiori. Ma in realtà c’è tantissimo marcio".

Questa musica delle origini ha ancora un valore sociale?

"Personalmente provo a metterci del buono. Continuo a sperare e a cercare di dire quello che penso attraverso la musica".

Giulia Rossi