Una parete e le case-torri Rontana è piena di reperti

Tanti i resti riemersi nella campagna di scavi, andata avanti col bel tempo. Tra ciò che è riaffiorato c’è un torrione del ’400 perfettamente conservato

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È cambiata come forse mai prima d’ora la fisionomia del castello di Rontana dopo la campagna di scavi archeologici portata avanti, in due sessioni, nel corso dell’estate e dell’autunno. Una parete dalle dimensioni ciclopiche è infatti venuta alla luce nel punto in cui il castello si affaccia sulla scarpata: "Fu costruita in mattoni per rinforzare la parete precedente del castello, in blocchi di arenaria", spiega l’archeologo dell’Università di Bologna Enrico Cirelli, da più di quindici anni al timone degli scavi. Sullo stesso lato del castello sono venute alla luce pure delle case-torri, anch’esse di dimensioni colossali. Contrariamente al resto del castello – il cui colore bianco acceso doveva costituire un elemento di chiara riconoscibilità in una larga porzione della vallata – la parete e le case-torri erano dipinte di un colore rosso che si doveva stagliare sui colli in maniera altrettanto nitida: "Era anch’esso una manifestazione di potere – prosegue Cirelli –, di un potere che cambia". Le case-torri forse sorgevano attorno al castello in una sequenza di quattro; in quel punto, così come in altri della struttura, le mura del castello erano arrivate a uno spessore superiore ai tre metri, talvolta con i blocchi di arenaria posizionati all’interno rispetto ai cicli in mattoni, talvolta all’esterno, in base alle possibilità costruttive dettate dalla morfologia dell’area. Dagli scavi è emerso anche quest’anno un sigillo, meno loquace tuttavia di quello rinvenuto l’anno scorso, sul quale era chiaramente distinguibile l’effige di papa Gregorio Magno, come poi confermato dagli studi. "Nel sigillo trovato quest’anno è chiaramente presente una lettera U: gli studi potranno aiutarci a decifrarne la natura. A essere significativo è anche il fatto che sia emerso nello stesso punto in cui l’anno scorso venne alla luce quel primo sigillo. Il che sembra confermare la nostra ipotesi iniziale, e cioè che in quel punto del castello fosse conservato un archivio".

Il sigillo di provenienza papale rinvenuto l’anno scorso non è il primo né l’unico elemento ad aver viaggiato a lungo prima di essere sommerso dagli strati qui a Rontana: "Non possiamo dimenticare l’anfora del VI-VII secolo, la cui morfologia dà indicazioni chiare circa le sue origini. Proveniva dall’area di Xanthos, in Asia minore (nel margine sudoccidentale della penisola anatolica, ndr), insieme al vino che probabilmente conteneva. Non dobbiamo dimenticare che quella parte di Mediterraneo, così come quella in cui ci troviamo, faceva allora parte dello stesso bacino culturale e politico che faceva capo a Costantinopoli".

Gli scavi di quest’anno – prolungatisi sino a fine ottobre, complici le temperature superiori alla media – hanno portato alla luce anche quella che doveva essere la porta, databile all’XI secolo, che conduceva negli ambienti più interni del castello: era posizionata oltre un fossato (più modesto rispetto a quello esterno) e probabilmente vi si accedeva dopo aver sorpassato un ponte rimovibile.

È però poco più in là, dove è emerso un torrione del ‘400 perfettamente conservato, che la storia parla più che altrove, attraverso i cicli costruttivi in cui le parti più antiche – scavate direttamente nel gesso – si intersecano con gli interventi successivi in pietra e in mattoni. I cicli costruttivi si succedono in sequenza fino all’epoca, brevissima ma architettonicamente intensa, del dominio veneziano sulla Romagna: è nei primissimi anni del ‘500, sanciti dalla costruzione della Rocca dei Veneziani, che Brisighella attrae su di sé una volta per tutte il baricentro politico ed economico della vallata, consegnando Rontana a una notte che solo ora gli archeologi stanno rischiarando.

Filippo Donati