Una rotonda dedicata a Capucci

Lugo ricorderà il concittadino esploratore in Africa, morto a Gibuti nel 1920: sposò una nipote di Menelik.

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A cent’anni dalla scomparsa, il comune di Lugo dedicherà una rotonda ad uno dei suoi eroi dimenticati, l’esploratore Luigi Capucci. Una figura importante che nella seconda metà del 1800, seguendo le orme del ravennate Romolo Gessi, decise di partire verso l’Etiopia sfidando l’ignoto. La giunta di Lugo ha approvato la proposta di intitolazione avanzata dai nipoti, Gian Carlo, Pier Luigi e Maria Cristina che hanno anche contattato la biblioteca con l‘intenzione di donare alla città il fondo, composto da centinaia di lettere, quotidiani dell’epoca, immagini e oggetti appartenuti a Capucci, già riconosciuto dal Ministero per la valenza storica e culturale. Un patrimonio dal valore inestimabile per approfondire i fatti accaduti nel periodo storico in cui l’esploratore, nato nel 1857 nella frazione di San Bernardino e morto il 13 febbraio 1920 a Gibuti, frequentò e visse alla corte dell’imperatore Menelik.

L’avventura nel continente africano iniziò nel 1884, due anni dopo la laurea in ingegneria civile a Roma, insieme all’amico e compagno di studi e di esplorazione, Luigi Cicognani, anch’egli lughese. Da quella data, Capucci tornò in Italia solo in rare occasioni, come nella trattativa che coinvolse Francesco Crispi nella stesura del trattato di Uccialli che istituiva una sorta di protettorato italiano sull’Etiopia. Capucci era benvoluto alla corte di Menelik, ne sposò una nipote, Uolete Uolde che dopo le nozze prese il nome di Cristina e si dedicò ai progetti più importanti. Sua è la costruzione del palazzo imperiale di Addis Abeba, suoi i progetti e le realizzazioni di molti mulini della zona. Allo scoppio della guerra italo-abissina, Capucci fu l’unico italiano a restare in Etiopia. Per questo, spinto dall’ambasciatore italiano di allora, il conte Antonelli, iniziò a fornire informazioni cifrate nascoste all’interno dei bastoni di bambù usati dai lebbrosi. Quando fu scoperto, Menelik lo fece arrestare e lo condannò alla prigionia. Dopo un primo tentativo di fuga, fu incatenato per 18 mesi alle mura della cella con un braccio ed una gamba. Il carcere si aprì dopo la battaglia di Adua.

A quel punto Capucci che nel frattempo aveva perso tutto il patrimonio, divenne corrispondente per la Società Geografica Italiana e ricominciò a lavorare come ingegnere minerario fino alla morte. "Provo un profondo senso di ammirazione per mio nonno - sottolinea Pier Luigi Capucci – Proveniva da una famiglia di possidenti e non gli sarebbe mancato nulla. Ciò nonostante lasciò quelle certezze per affrontare una sfida, esplorare l’Africa, un continente che all’epoca era in gran parte sconosciuto. Prima di proporre alla biblioteca la donazione del fondo, che sto digitalizzando, ci abbiamo pensato a lungo. Il nostro desiderio è che questo patrimonio non vada perduto".

Monia Savioli