Una storia a luci rosse riemerge da un biglietto

Ritrovato in un edificio di via Nuova nell’ambito di lavori, racconta di case chiuse e soldati britannici al tempo della Grande guerra

Migration

È una Faenza più discinta che mai quella testimoniata in un biglietto da visita rivenuto poco tempo fa, in occasione di una ristrutturazione di un edificio posto in via Nuova, in quella che era una delle case di tolleranza della città ai tempi della Prima guerra mondiale e nei mesi immediatamente successivi. Un ritrovamento che getta luce su una parte di storia della città poco conosciuta.

A rendere prezioso quel biglietto da visita è il fatto che fosse scritto in inglese, prova di come fosse rivolto a una clientela in particolare: i soldati dell’Impero britannico che transitavano dal ‘rest camp’ di Faenza nel tragitto fra l’Europa (dunque la madrepatria britannica e i fronti in cui erano impiegate le sue truppe) e le colonie d’oltremare situate in Africa e Asia, in Oceania o nelle Antille, in una direzione o nell’altra.

Se da un lato il fronte occidentale vide l’impiego di soldati sudafricani, rhodesiani, australiani, neozelandesi e indiani, dall’altro va ricordato come il primo conflitto mondiale avesse visto esplodere focolai di guerra anche oltre oceano: mentre nella porzione orientale della Nuova Guinea o negli attuali Togo, Namibia e Samoa le truppe tedesche riuscirono a opporre una resistenza di brevissima durata, le cose andarono diversamente nell’Africa orientale tedesca (le attuali Tanzania, Burundi e Ruanda), dove si combatté fino al 1918, quando l’armistizio siglato in Europa costrinse anche quei tedeschi d’oltremare alla resa.

Faenza era una tappa intermedia del viaggio via terra fra i porti di Bari o Brindisi e la sponda meridionale della Manica: fra il luglio del 1917 e il novembre del 1919 al Faenza Rest Camp – allestito su due siti: piazza d’Armi venne dedicata alle truppe, mentre il parco Tondo fu riservato agli ufficiali – transitarono 597mila soldati dell’Impero britannico, con punte di 43mila nel febbraio del 1919 e di 48mila unità nel successivo mese di marzo (la città aveva all’epoca appena 47mila abitanti). Fra questi vi erano circa 30mila indiani e un po’ meno di 20mila "west indians" (caraibici, provenienti da colonie quali Barbados, Trinidad e Giamaica).

Il soggiorno a Faenza e negli altri campi allestiti dall’Impero britannico lungo la penisola era dunque per quei soldati un breve intermezzo prima di lunghi viaggi per mare, che nel peggiore dei casi si concludevano con l’invio al fronte.

Non c’è dunque da sorprendersi che in città ci fosse chi aveva deciso di approfittare di quella mole di uomini di stanza appena oltre le mura: maitresse della casa chiusa di via Nuova (allora chiamata via Terranova) era quella che nel biglietto da visita – ancora conservato nel vano che ai tempi doveva fungere da cassaforte – si presentava come ‘Madame Tina Billi’", a capo di quella che definiva – con un evidente eufemismo – come una ’Society house of first order’ (le foto sono state pubblicate di recente sulla pagina "Frammenti storici della Romagna", insieme a un resoconto delle truppe di passaggio a Faenza).

Il lupanare non era fra l’altro il solo in città: ve n’erano anche altri, in vari punti dell’area urbana.

Filippo Donati