"Usò nome del collega per diffamare la ditta"

Rappresentante sindacale a processo per sostituzione di persona: avrebbe inviato mail usando le generalità di un altro saldatore

"Usò nome del collega per diffamare la ditta"

"Usò nome del collega per diffamare la ditta"

È accusato di aver creato una casella di posta elettronica, utilizzando le generalità di un collega, al fine di di fare ricadere su quest’ultimo frasi denigratorie sull’azienda di Alfonsine in cui i due lavoravano. Per questo motivo un 44enne residente a Ravenna si trova a processo per sostituzione di persona. Il collega, 42enne, è parte civile con la tutela dell’avvocato Simone Balzani: fu infatti inizialmente sottoposto a procedimento disciplinare, fin tanto che la polizia postale accertò che con l’invio di quelle mail a molteplici destinatari, nelle quali in buona sostanza si denigrava il modo di compiere saldature della propria ditta, lui non c’entrava nulla. Al contrario, le stesse indagini hanno ricondotto la paternità di quel piano al 44enne, che rivestiva anche un ruolo sindacale interno, e che al processo, difeso dall’avvocato Claudio Cardia, respinge gli addebiti.

Il procedimento fu innescato dalla querela presentata nel febbraio 2020 dal 42enne, il quale pochi giorni prima aveva ricevuto una raccomandata dai legali della propria ditta, in cui lavora dal 2017, che conteneva una lettera di contestazione disciplinare. In particolare gli si attribuiva una mail, scritta in inglese e indirizzata a un cliente, dal contenuto diffamatorio relativo all’esecuzione di una prestazione d’opera non effettuata a regola d’arte. Il saldatore ha immediatamente disconosciuto l’indirizzo e-mail che riportava il suo nome e cognome, e così la mail oggetto della contestazione. Gli accertamenti, condotti dalla sezione ravennate di Polizia postale e delle comunicazioni, hanno consentito di individuare l’indirizzo ’Ip da cui la mail era partita e, attraverso il gestore del dominio, si è appurato che quell’account, registrato solo pochi giorni prima che le mail fossero spedite, risultava associato al numero di cellulare e all’indirizzo di casa dell’imputato, poi a sua volta sottoposto a procedimento disciplinare e licenziato.

L’accusa individua il possibile movente nel voler mettere in difficoltà il datore di lavoro, per fargli perdere clienti, sfruttando le generalità di un collega sul quale sarebbe poi ricaduta la colpa. Accuse che l’imputato ha negato in aula, sostenendo che se è vero che l’account risulta collegato all’indirizzo di casa propria, chiunque e non lui necessariamente avrebbe potuto crearlo. Anche la moglie ha testimoniato in suo favore, sostenendo che il marito non conosce bene l’inglese, né è un esperto informatico, quindi che mai sarebbe stato in grado di architettare un piano tanto diabolico. Probabile sentenza a maggio.

Lorenzo Priviato