"Varianti insidiose ma c’è troppo allarmismo"

Il microbiologo Sambri: "A Ravenna la mutazione inglese è ancora una minoranza, sappiamo riconoscerla e non si dimostra più aggressiva"

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di Francesco Zuppiroli

Variazioni sul tema. Il tema è, ovviamente, il Covid-19. Le variazioni, o meglio, le varianti sono invece quella inglese, sudafricana e brasiliana che, a un anno dallo scoccare dell’emergenza sanitaria, stanno ora gettando forti dubbi sulla gestione futura della pandemia. Anche a Ravenna e in Romagna, nei giorni scorsi, dall’indagine condotta dalla Regione attraverso il campionamento di tamponi raccolti sul territorio sono emersi alcuni casi di variante inglese, seppure in un numero ancora troppo basso per portare a dire che qui sia già divenuta la cosiddetta ‘variante dominante’. Della situazione attuale e degli scenari che le mutazioni potrebbero aprire parla Vittorio Sambri, direttore dell’unità operativa di Microbiologia del Laboratorio Unico di Pievesestina dell’Ausl Romagna.

Professor Sambri, può delineare meglio la diffusione attuale della variante inglese sul territorio?

"A livello regionale, l’indagine avviata dall’Emilia Romagna ha portato alla luce il 41% di casi risultati positivi alla variante d’oltremanica all’interno dello spettro analizzato. Parliamo già di una percentuale importante, che tuttavia, entrando più nel merito, presenta delle differenze sostanziali di provincia in provincia".

A Ravenna per esempio?

"Qui la prevalenza di variante inglese è ancora molto bassa. Sono precisamente tre i casi rilevati a Ravenna e 7 in tutta la Romagna. Stiamo parlando di un 20% scarso dei tamponi analizzati. Un discorso diverso quindi per province come Bologna o Modena, dove la variante inglese è stata riscontrata nel quasi 70% dei test raccolti".

Poste le prime, parziali conclusioni di questo tracciamento, qual è la sua posizione rispetto a chi invoca a gran voce un ritorno del lockdown ‘duro’ per arginare la diffusione del virus che batte bandiera britannica?

"Non sono un epidemiologo, ma per quello che posso osservare al momento la tendenza è un aumento dei casi positivi, a cui però non corrisponde come in passato un altrettanto alto numero di pazienti che richiedono l’ospedalizzazione o il ricovero in terapia intensiva".

Da un punto di vista virologico questo cosa può voler dire?

"Teniamo presente che da troppo poco tempo stiamo facendo i conti con questa variante e che le evidenze di quest’ultimo periodo godono di un altrettanto breve spettro di paragone. Però potrebbe significare che il virus abbia sì sviluppato con questa mutazione una maggiore capacità di diffusione, ma anche un minor impatto sul quadro clinico. Alla luce di ciò, pensare ora a un lockdown mi pare eccessivo".

E per quanto riguarda invece le altre due varianti?

"Si tratta di altri due virus che hanno subìto un allontanamento dal ceppo di Whuan e da quello prevalente in Italia. Dal punto di vista virologico, sono lontani anche dalla stessa variante inglese. Che questo significhi avere a che fare con un virus più ‘pericoloso’ mi pare troppo avventato dirlo adesso. Anche perché per il momento salvo qualche caso come in Umbria o Abruzzo, ne abbiamo un’esperienza diretta veramente minima. A Ravenna e in Romagna non abbiamo registrato casi di questo tipo. D’altronde, non è ancora possibile eseguire test specifici su larga scala per riconoscere queste due varianti specifiche, mentre per quella inglese abbiamo già alcuni test che la riconoscono con una precisione dell’80%".

In relazione al vaccino, quali ripercussioni pensa che possano avere le varianti?

"Il vaccino funziona sulla variante inglese, siamo abbastanza sicuri di questo in base alle rilevazioni scientifiche che abbiamo effettuato in vitro. In generale, se le altre due varianti dovessero dimostrarsi più ‘resistenti’ al siero come alcuni paventano, mi sento di rassicurare che sia molto improbabile che il vaccino arrivi ad avere un’efficacia zero. In quel caso staremmo parlando non di una mutazione bensì di un virus del tutto diverso e non è questo il caso".

Alla luce delle evidenze, scientifiche, di cui ha parlato, cosa pensa dei tanti virologi che si ammontano richiedendo misure più severe?

"Non mi permetto di screditare o scomunicare il lavoro dei colleghi. Ma faccio questo mestiere da 30 anni e mai come durante questa pandemia ho visto così tanti professionisti del mestiere, di cui, onestamente, non avevo mai sentito parlare prima. Non vorrei che la ribalta mediatica rischiasse di innescare una corsa a chi la dice più grossa. Non è il momento di fare i profeti, quanto quello di fare il nostro mestiere nel modo più accurato per informare le persone e solo di ciò di cui siamo sicuri".