Ravenna, 8 settembre 2023 – "Facemmo il possibile per ridare ossigeno alla Valle della Canna. Come? Immettendo il massimo quantitativo d’acqua disponibile mai chiesto nella storia di quest’oasi". A distanza di quattro anni devono rispondere, in concorso, di inquinamento ambientale per la strage di anatidi dell’ottobre 2019, tremila uccelli acquatici soffocati dal botulino. Attraverso interrogatori chiesti dal Pm Stefano Stargiotti e memorie, l’ex direttrice del parco regionale del Delta del Po e l’ex dirigente del Servizio tutela ambiente del Comune di Ravenna hanno anticipato, già in fase di indagini preliminari, la loro linea di difesa.
Rispondendo alle domande dei carabinieri forestali, l’ex dirigente comunale – assistito dall’avvocato Ermanno Cicognani –, oggi in servizio in Regione, ha spiegato che Comune e Parco erano consapevoli dell’impossibilità di rifornire la valle da agosto a ottobre. Ciò in quanto l’unica condotta esistente all’epoca dei fatti, una paratoia a nord-est della valle che prelevava acqua dalla canaletta Anic di proprietà di Rsi (Ravenna Servizi Industriali), era interessata da lavori di manutenzione. Per questo già a luglio "si concordò col Parco – ha spiegato il tecnico – di chiedere a Rsi, tra 17 luglio e 9 agosto 2019, una immissione massiva di 1,5 milioni di metri cubi d’acqua, quantitativo massimo disponibile e che mai prima era stato richiesto". La sola strategia alternativa sarebbe stato prosciugare il bacino per tre mesi, cosa che avrebbe comportato la moria di tutte le specie ittiche ma anche di anfibi e rettili, nonché un innalzamento del “cuneo salino“. Riguardo alle competenze, ha precisato il dirigente, la gestione naturalistica della valle è di competenza del Parco del Delta e il Comune da sempre "opera in supporto" e può agire "esclusivamente in accordo preventivo" col parco stesso. Negli anni, ha aggiunto, il Comune, tramite agenti della Polizia locale in servizio presso l’ufficio Ambiente, ha sempre operato un continuo monitoraggio dei livelli idrometrici e delle condizioni del bacino. Se la strage di volatili ebbe il suo culmine in ottobre, già il 5 settembre vi erano stati primi riscontri di sette anatidi morti "e la vigilanza fu aumentata", con prelievi di carcasse portate all’Istituto zooprofilattico di Forlì, anche se di ciò non vi sarebbe una relazione scritta in quanto "contatti e monitoraggi venivano concordati via telefono".
A complicare la situazione, oltre alla siccità perdurante, furono fattori migratori, in quanto "tra 15 e 20 agosto il numero dei capi di avifauna passa da poche centinaia a parecchie migliaia". In ragione di ciò Comune e Parco chiesero a Rsi "la possibilità di fornire acqua in via ordinaria e non emergenziale, perché non si era ancora in emergenza", ma ciò non fu possibile perché le condotte sul Reno non erano operative per fornire acqua alla canaletta Anic. Altro dato importante: il fatto che a settembre non vi fossero state ulteriori segnalazioni di ritrovamenti, porta l’ex dirigente del Comune a ipotizzare che l’origine dell’infezione fosse eventualmente da collocare nei limitrofi ’chiari da caccia’, bacini di piccole dimensioni e senza ricambio idrico dove gli uccelli si alimentano, per poi spostarsi portando il picco di moria, da inizio ottobre, nella Valle della Canna. Il Comune chiese così ad Arpae la possibilità di analizzare, oltre ai fondali della Valle, anche i chiari da caccia, "ma ci dissero che queste analisi non sarebbero state significative".