Basta divisioni nella pallavolo ravennate

Ravenna può tornare agli antichi fasti femminili puntando sul vivaio (500 ragazze) e sull’unità di intenti

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Altro che anno zero! Ravenna (sportiva e non), dove la pallavolo è nell’imprinting genomico, ha toccato il fondo, non perché sia sparito lo sport cittadino per antonomasia, bensì perché nella stessa stagione con una retrocessione – quella maschile – ed una rinuncia – quella femminile – si è avuta la conferma tangibile, anche se paventata da qualche tempo, che la città non merita altro. E qui vanno chiamate in causa tutte le componenti coinvolte, pubbliche e private che siano. Un mio caro amico, sconsolato, scuote la testa e sentenzia, o meglio sottolinea, che nel nuovo palasport ci voleranno i piccioni ed attenderemo soltanto gli sceicchi dell’Omc ad anni alterni. Non si discute – a mio parere – sull’opportunità di questa struttura, visto che il Pala De Andrè è tutto fuorchè un impianto sportivo funzionale e risparmioso e che una città è grande anche perché in grado di ospitare grandi eventi (Europei, Mondiali, finali internazionali etc).

Ravenna, se vuole giocare la carta dello sport, ha il dovere di richiamare a sé, sotto l’impulso di Palazzo Merlato, tutte quelle forze imprenditoriali che dalla città traggono benefici e che invece si rifugiano dietro tutta una serie di lamentele – spesso capziose – per giustificare che lo sport è l’ultimo dei loro problemi. Centosessantamila cittadini sono una forza d’urto notevole e dimenticarsi del ruolo sociale di questo aspetto della vita comunitaria può diventare deleterio sia a breve che a lunga scadenza.

In tutto questo quadro la rinuncia dell’Olimpia Teodora alla serie A2 femminile è il sigillo: non sto a disquisire su chi ne abbia avuto colpe dirette, ma su come si sia potuto arrivare a tanto nei confronti di un club che ancor oggi nel mondo ed in Italia viene portato ad esempio sia per i risultati sia per la politica che seguiva (due degli undici scudetti vinti con tutte ravennati e una forlivese che era considerata ‘straniera’...). I cicli ritornano – almeno nella speranza – e così dinanzi a questa nuova situazione si tenta già di richiamare, di ricompattare quelle giovani, quelle ragazze la cui maggior parte dei genitori sono vissuti ed hanno sofferto nel mito della Teodora.

E poi – visto che siamo ancora nell’anniversario dantesco – non ci facciamo mancare – ma non è storia recente – i Guelfi e i Ghibellini. Si era tentato di ricomporre la questione qualche anno fa, ma oggi si torna alla casella di partenza. Per favore, una mano sulla coscienza e lasciate che Ravenna possa tornare ad essere motivo di orgoglio, di passione, di compostezza per poter esplodere nuovamente avendo alle spalle quasi 500 (sì, avete letto bene, cinquecento) bambine e ragazze che frequentano, che partecipano alle varie leve giovanili di Olimpia Teodora e di Torrione Teodora. Nulla è e sarà più controproducente di questa divisione che rischia di ostacolare qualsiasi atto di buona volontà. Nessuna delle due società naviga in acque tranquille, tant’è che anche sul fronte Torrione si parla di ‘vendere’ il freschissimo titolo di serie B1 in Veneto, al di là del Po.

Tutti insieme appassionatamente, ma nella vera accezione, andando alla riscoperta di quei valori che hanno fatto di Ravenna una delle capitali del volley. Non è soltanto un modo di dire, bensì di pensare e di agire. Quando ci si divide c’è soltanto da perdere e non da guadagnare. Una Olimpia Teodora che si ricordi del proprio passato, di come divenne ‘mitica’ ed agisca di conseguenza è il minimo che si possa fare e possa pretendere. Un passo alla volta, poi i risultati, non solo sportivi, non mancheranno.

Umberto Suprani