Due amiche, una fattoria, il gelato: «I sapori reggiani conquistano la Francia»

In un angolo di paradiso a sud di Lione c’è ‘Le Trouillet’: borgo sospeso fra buon cibo e cultura

Da sinistra la titolare umbra Roberta Petrini e la cuoca reggiana Simona Margini

Da sinistra la titolare umbra Roberta Petrini e la cuoca reggiana Simona Margini

Alboussière (Francia), 9 luglio 2018 - DUE DONNE e un sogno che sembra uscito dal romanzo di Andrea De Carlo, ‘L’imperfetta meraviglia’, dove una coppia di cocciute italiane conquista la Francia con l’«equilibrio instabile del gelato», cremosità in bilico fra il piacere e il momento effimero in cui si scioglierà.

E così Roberta Petrini, 53enne di Bastia Umbra schietta come la terra perugina, negli anni Novanta si trasferisce in Francia quasi per gioco. Un’avventura cominciata allevando cani («In Italia mi occupavo di cavalli da competizione») e ora – dopo aver cresciuto anche tre figli –, grazie all’aiuto di Simona Margini, 55enne di Reggio Emilia, gestisce ‘Le Trouillet’, angolo di paradiso immerso nelle campagne francesi dell’Ardeche, a sud di Lione.

Un piccolo borgo in cui, ogni estate, si svolgono festival culturali che richiamano persone da tutta Europa; ma anche fattoria e azienda agricola con pecore sarde e mucche, dalle quali Roberta e Simona mungono il latte che utilizzano per produrre i loro formaggi (pecorino, caciotta, yogurt e ricotta) e, soprattutto, il gelato.

«Cremoso e rigorosamente italiano. Mi mancava tanto e così è nata Cutò, la gelateria che propone la specialità italiana ai palati dei turisti e degli abitanti del luogo». «Io amo i gusti classici, anche se questa è una terra di super fricchettoni e si aspetterebbero fieno e zenzero... », sorride Roberta.

Invece è un tripudio di nocciola, pistacchio, amarena... «Sono antica io, eh... Metto le mani nelle mie passioni e provo a renderle realtà. Nessuno mi ha mai insegnato niente... Faccio tutto da autodidatta. E, devo dire, il gelato piace da morire... »

Al suo fianco Simona, per 28 anni cuoca della Cir Food (colosso cooperativo della ristorazione emiliana), si prende cura del ristorante del borgo, Nashalata, «che fa mangiare chi arriva per i festival, turisti e abitanti del luogo». Il nome, è un altro omaggio all’ironia.

«Nel mio paese d’origine, a Bastia, lo ‘scialo’ è una goduria. Per questo ho deciso di usare questo termine, mettendoci in mezzo una acca per renderlo un po’ più orientale... Ma tutto qui!», ride forte la padrona di casa.

«La cucina è fatta di prodotti nostrani: i frutti dell’orto, i derivati del latte; la carne è dei vitelli che nascono qui. Poi c’è un forno a legna e facciamo anche la pizza. Compriamo olio, farina e Parmigiano Reggiano in Italia. Stop. Il resto è tutta roba nostra».

Simona, assieme all’accento reggiano, ha portato in Francia la sua esperienza e la tradizione emiliana. «La gente è contentissima di conoscere la cucina italiana – spiega lei –. Ma soprattutto questa è un’esperienza umana. Vivere così, a contatto con la natura e con una produzione a ‘centimetri zero’ è straordinario».

Tutto nasce da una grande scommessa. «Ho sempre allevato cavalli da competizione, concorsi completi. Ne avevo una ventina in Umbria fino al 1994. Poi sono arrivata in Francia per una vacanza; e così con un amico, per ridere, abbiamo comprato una casa per pochi spiccioli», ricorda Roberta.

«All’epoca avevo una pensione per cani. Questo mi permetteva di passare sempre più tempo fra Bordeaux e Tolosa. Alla fine del 1999 sono diventata residente francese; aspettando il secondo figlio mi sono trasferita in Ardeche, a sud di Lione. Poi è arrivato anche il terzo figlio. Qui mi sono rimessa ad allevare cani: bracchi, pastori maremmani... Questo lavoro, in Francia, rientra nel settore agricoltura e così mi hanno assegnato lo statuto di agricoltore, che mi ha permesso di allargare la mente all’idea di creare una fattoria. Ciò che mi mancava di più, però, era il lato sociale dell’Italia. Volevo trovare un posto in cui la gente potesse incontrarsi e fare arte, cultura. Ed ecco come sono arrivata qui: ho scoperto una casa con 30 ettari di terreno. E, con il retaggio italiano, ho pensato di mettere in piedi un allevamento di pecore da latte in un borgo che potesse anche fare da scenario a festival estivi».

In due mesi prende vita l’ovile, «avvalendomi di un collaboratore di origine sarda, Davide, che si occupava della trasformazione lattiera. Quando se n’è andato mi sono rimboccata le maniche e ho iniziato a fare tutto da sola». Oggi le pecore sarde sono diventate un centinaio. Ma non bastano; serve il latte per il gelato. Così entrano in famiglia anche le mucche. E nasce Cutò, in onore di Francesco Procopio, siciliano che nel 1600 sbarcò a Parigi strabiliando i francesi con la sua creazione sensazionale. «È un altro omaggio, questo nome. Il mio personalissimo ponte fra Italia e Francia».