"Abbiamo sofferto insieme" La dolce forza di Agnese

"Non volevo incontrare i carnefici. Ma fui convinta da padre Bertagna"

"Abbiamo sofferto insieme"  La dolce forza di Agnese
"Abbiamo sofferto insieme" La dolce forza di Agnese

Agnese Moro è riuscita a trasformare un mondo fatto di silenzio, di ‘mostri’ e di dolore, in uno fatto di comprensione e umanità. "Noi e loro abbiamo attraversato l’inferno assieme. Ma oggi, posso dire che io sono Agnese e lui è Franco. Ho fatto tante cose dopo la morte di papà – racconta la figlia di Aldo Moro -. Ma una parte di me è come se fosse rimasta congelata. L’esperienza del male che ho vissuto, la violenza, la vigliaccherioa. Ho contenuto tutto, avvolgendolo nel silenzio".

Ma "Il silenzio urla" dice Agnese Moro. Il 23 dicembre del 2009 incontra padre Guido Bertagna che le propone di partecipare agli incontri di giustizia riparativa. L’iniziale rifiuto è stato piegato dalla gentile insistenza di padre Bertagna: "Nessuno, in 31 anni dalla morte di mio padre, mi ha chiesto come stavo realmente. Guido lo ha fatto e io mi sono fidata. Ho iniziato incontrando i famigliari delle vittime. Sapete cosa ho notato? Che queste persone respiravano... Io, da quando tutto accadde, un vero respiro non ero più stato in grado di farlo".

E poi l’incontro con Bonisoli. "Vennero a casa mia e mi portò una piantina. Io feci le domande e lui, con gentilezza, rispose. Ma una cosa mi colpì molto. Franco mi ha raccontato che quando era in prigione, i pochi permessi che otteneva, li usava per andare a parlare coi professori di scuola di suo figlio. Mi dissi ‘Ma questo è matto! Dedica gli unici momenti di libertà a farsi torturare parlando coi professori del figlio, pratica generalmente demandata alle madri’. Pensai che l’umanità non va mai perduta. Va sempre riscoperta". Quello è stato l’inizio di un percorso: "Credevo che il dolore fosse solo mio, in fondo io avevo subito la perdita. Non pensavo che anche ‘loro’ potessero provarlo". Ma la domanda che Agnese ha sempre posto ai suoi interlocutori è stata una: "Come avete potuto mettere una sveglia alle ‘7 del mattino’ e alzarvi per andare ad ammazzare delle persone’? Non c’è una risposta. Ma è fondamentale potersela porre".

"Il sangue, quando entra nella tua vita invade tutto – prosegue Agnese Moro -. Anche gli anni di vita, e sono stati 25, che ho trascorso a fianco di mio padre. Ma ora no. Ora sono miei e sono ‘puliti’. Quello che è successo, appartiene solo a quel tempo". Infine: "I mostri non ci sono più. Oggi ci sono persone che hanno sbagliato. I fantasmi li devo ‘sistemare’, ma quello di papà c’è sempre – conclude Agnese -. Lui amava i giovani e penso provasse profondo dispiacere per quelli che avevano intrapreso una vita di lotta e di violenza. Penso che oggi, da lassù, sia molto contento di quei ragazzi di allora, capaci di riprendersi le loro vite".

Ni. Bo.