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Reggio Emilia, 8 maggio 2022 - È arrivato il sigillo della Cassazione, per gli imputati del processo di ‘ndrangheta ‘Aemilia’ che avevano scelto il rito ordinario. Secondo quanto scrive ora la giustizia, per un gruppo di loro la parola ‘mafioso’ non dovrà più essere accompagnata dal condizionale. Per alcuni si apriranno le porte del carcere. L’impianto accusatorio, messo in piedi dalla Dda di Bologna e portato avanti fino al terzo grado, ha retto. Sui 148 che furono giudicati a Reggio, 87 si sono rivolti alla Corte suprema, che nella stragrande maggioranza dei casi ha bocciato i loro ricorsi. Sono stati 36 quelli rigettati e altri 38 quelli dicharati inammissibili. Pollice verso dei giudici, dunque, per 74 persone, per le quali sono state confermate in toto le pene date in Appello, che diventano così definitive. Tra loro ci sono tutti coloro che erano accusati di associazione mafiosa, salvo Graziano Schirone, che dovrà essere nuovamente giudicato in Appello per il capo 1, ovvero il 416 bis. Alcuni erano stati giudicati a Reggio in primo grado non solo con il rito ordinario, ma anche con l’abbreviato per nuove contestazioni avanzate a processo già iniziato. Per sette posizioni è stato disposto l’annullo senza rinvio. In qualche caso c’è solo un piccolo alleggerimento della condanna. Tra questi Michele Bolognino, l’unico accusato di mafia che aveva scelto il rito ordinario: ha avuto un taglio di 5 mesi per la prescrizione di un capo di imputazione, arrivando a 20 anni e 10 mesi. Lui era in affari con l’imprenditore modenese Augusto Bianchini, accusato di concorso esterno alla mafia: per lui confermati 9 anni. Diventano definitive le condanne a Giuseppe Iaquinta, 13 anni, per mafia, imprenditore reggiolese padre dell’ex calciatore della Juve Vincenzo Iaquinta (processato in primo grado per porto d’armi del genitore, ebbe la pena sospesa): nell’ottobre 2018 ...
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