Aemilia: «Dicevano: 'Se non lasci il locale ti impicchiamo’. Peggio del terremoto per me»

Maxi processo alla 'ndrangheta al nord: in aula la testimonianza del ristoratore estorto

Il Marinabay di Marina di Ravenna (foto Corelli)

Il Marinabay di Marina di Ravenna (foto Corelli)

Reggio Emilia, 22 settembre 2016 - «MI hanno detto: ‘Siamo venuti a prendere possesso del nostro bene. Se non te ne vai di qua ti impicchiamo’. Ero terrorizzato, credetemi. Per me sono stati i dieci giorni più brutti della mia vita, peggio del terremoto».

Ha 49 anni Ugo Apuzzo, originario del Napoletano, ma residente a Carpi. Giacchino di jeans, tatuaggio sul collo, ieri pomeriggio è stato accompagnato a forza dai carabinieri nell’aula del processo Aemilia, dopo che non si era presentato, nonostante fosse stato citato come testimone dell’accusa. «Scusatemi, stamattina avevo la febbre», ha smozzicato davanti al microfono. Niente di più.

Apuzzo è una delle vittime della cosca di ’ndrangheta che, secondo la direzione distrettuale antimafia di Bologna, si era insediata e operava in Emilia Romagna.

Imputati per estorsione aggravata dal metodo mafioso nei suoi confronti, Giuliano Debbi, 61 anni, noto imprenditore di Sassuolo residente a Scandiano; in concorso con Alfonso Diletto (considerato uno dei capi della cosca), il giornalista Marco Gibertini e il brescellese Gennaro Gerace. Tutti già condannati durante il rito abbreviato, rispettivamente a 14 anni e 2 mesi, 9 anni e 4 mesi e 3 anni e 6 mesi.

Apuzzo nell’estate del 2013 entra nella gestione del catering del Marinabay, imponente stabilimento balneare di Marina di Ravenna. «Sapevo che c’erano dei problemi infatti non ero molto convinto. Mi avevano detto che c’erano grossi debiti: pendenze per 400mila euro con Equitalia, che assieme a quelli verso i fornitori diventavano 2 milioni. Per questo ho preso solo il catering e non l’intera gestione».

La procura incalza. Secondo le accuse la cosca voleva mettere le mani sulla gestione dello stabilimento. E in effetti, «da vecchio sbirro ho iniziato a indagare perché pensavo che ci fosse un tentativo di infiltrazione di una famiglia ’ndranghetista nella riviera romagnola», ha ammesso il luogotenente Leonardo Berti dei carabinieri di Ravenna, che prima si era seduto davanti ai giudici, assieme al collega di Marina di Ravenna Antonio Miserendino, che dopo la querela fece direttamente gli accertamenti.

«All'epoca dormivo all’interno dello stabilimento – ha proseguito Apuzzo –. Quando mi sono alzato per controllare che cosa mancasse in dispensa, all’interno della sala ristorante ho trovato alcune persone. Mi hanno subito minacciato, chiedendomi di andarmene. ‘Voi non siete i titolari’, ho risposto. ‘Vattene sennò ti impicchiamo, siamo noi i padroni qui’, hanno tagliato corto. E mi hanno mostrato pure una carta notarile in cui si diceva che Giuliano Debbi aveva concesso loro le sue quote societarie; Debbi lo conoscevo, lo avevo visto alcune volte. Io ero molto spaventato. Ho chiamato subito i carabinieri per fare denuncia. Poi anche i proprietari del locale, che mi hanno detto ‘Tu stai al tuo posto, sei autorizzato a stare lì’».

Qualche giorno dopo, poi, anche nel ristorante di Carpi di Apuzzo era arrivata una strana telefonata. «Hanno chiamato i miei colleghi e la mia compagna per consigliare loro di mandarmi via dal locale. Davvero, per me è stato terribile, neanche il terremoto è stato così».